TRA I DANNATI DELLE POLIZZE COSÌ L'INA SFRUTTA I PRECARI
Questo articolo inizia con un’avvertenza: le persone che
troverete citate non hanno nome e cognome ma delle sigle. Sono riconoscibili
con dei numeri. L’anonimato è una scelta concordata. Chi parla con noi ha paura
di conseguenze legali o teme il licenziamento. D’altronde sono abituati ad
essere trattati come numeri. Così li considera Ina Assitalia agenzia di Milano,
la società per la quale lavorano o hanno lavorato, svilendo la loro dignità,
spesso il loro conto in banca, quasi sempre la loro persona. Numeri, si diceva,
utilizzati per rimpinguare il conto economico di una società che nelle
assicurazioni è una corazzata e nel ramo delle polizze pensionistiche un
modello di riferimento, ma che per molti dei dipendenti rappresenta solo un
girone dantesco. Chi ci introduce negli inferi della sede in via della
Liberazione, nella zona est della città, è il “lavoratore numero 1”. È un
manager, meglio, un ex manager, visto che ha lasciato l’agenzia da qualche mese
- la società fa capo alla Leonardo Assicurazioni srl di Gian Luca Buzzetti -,
ma per noi è qualcosa di più: è anche una guida. Perché conosce tutta la
struttura, gli ingranaggi, i metodi da «medioevo» utilizzati dall’assicurazione
per fare soldi sulla pelle dei propri dipendenti. Il nostro viaggio all’interno
dell’Ina Assitalia di Milano inizia dalla descrizione della sua struttura. La
società ha una forma piramidale. In cima, come detto l’agente generale, che
dirige sei responsabili di struttura, che controllano cinque o sei manager a
testa, che a loro volta hanno mani libere sui consulenti a partita iva, (circa
trecento persone frazionate in gruppi da 10-15 persone) «il carburante che
alimenta una macchina che macina quattrini» come ricorda “lavoratore numero 2”,
ventisei anni ancora assunto. All’interno del girone si accede attraverso il
reclutamento fatto, ci dice «numero 1» da «una decina di belle ragazze
incaricate di trovare le persone da inserire». Il verbo trovare è quello esatto
«perché sono pagate in base al numero di individui che riescono a incastrare: e
per questo ricevono gli incentivi». Non conta da dove vengono. Ad esempio,
“lavoratore numero 3”, che ha ventiquattro anni e che si è licenziato poco
prima dell’estate, ci spiega che lui il curriculum a Ina Assitalia non l’ha
«mai mandato. L’avevo spedito ad un’altra azienda ma mi hanno contattato loro».
I candidati – secondo il racconto di “numero 1” «devono avere due
caratteristiche: «Una parte deve essere molto forte per poter crescere e diventare,
un giorno, manager, gli altri devono essere plagiabili per poter fornire nuovi
nominativi».Questi sono il valore aggiunto che l’azienda chiede ai suoi
consulenti: la rete di conoscenze, i rapporti di parentela, gli amici, tutti
numeri telefonici da poter contattare e poter far confluire in un “data base”:
in una parola l’agenda. «Le referenze – dice “numero 4”, come molti venuti a
Milano dal profondo Sud - sono obbligatorie. Quando entri la prima cosa che ti
chiedono». Il reclutamento è a ciclo continuo. «Di media inseriscono 40 persone
al mese – dice “numero 1” - questo fattore è decisivo perché più persone
immetto in struttura più nominativi da chiamare possiedo, più contratti posso
stipulare». Più che altro pensioni integrative. Come spiegano nel corso di
preparazione al lavoro, fatto di sorrisi, strette di mano e illusioni. “Numero
4” racconta: «Non ti spiegano altro al di fuori delle polizze pensione, perché
è il prodotto su cui puntano». Le polizze pensione sono quelle che creano più
valore per l’azienda perché vincolano l’assicurato a versamenti per lunghi
anni. E sono la polpa della rete commerciale, quella che assicura linfa alla
società. «I responsabili di struttura e i manager - racconta “numero 1” vengono
pagati con un fisso (da 1500 a 8000 al mese) più degli incentivi a
raggiungimento del risultato. Significa che ogni mese viene deciso dall’agente
generale un budget di area da raggiungere: se il manager raggiunge il budget,
oltre al suo fisso riceve anche l‘incentivo, altrimenti riceve solo il fisso».
Se non si raggiunge il budget un manager può essere degradato. I consulenti,
invece, hanno un stipendio di 1000 euro lordi al mese e ricevono delle
provvigioni sulle polizze che fanno (una da 1200 euro anno concede provvigioni
intorno a 360 euro). Nonostante siano considerati dei liberi professionisti
hanno un orario di lavoro dalle 8,30 alle 20,00 e sono obbligati ad una
riunione alla mattina e una alla sera,in più sono costretti ad effettuare
telemarketing (chiamate al mercato) dalle 18,00 alle 20,00. I consulenti devono
produrre (fare polizze). “Numero 4”: «Lavoro 12-14 ore al giorno. Mi chiamano
al telefono anche di notte, mi costringono a lunghissime sessioni telefoniche».
Tutti i consulenti sono sottoposti a regole stringenti. «Nel contratto – spiega
“numero uno”-sono imposti dei minimi produttivi al consulente. Deve fare almeno
3 polizze al mese altrimenti non riceve né il fisso previsto dal contratto, né
le provvigioni”. Per sfruttare al massimo la macchina si crea un sistema di
punizioni: al consulente si impongono orari di lavoro ulteriori, si impongono
momenti di isolamento oppure si sottopone il lavoratore a una seduta di insulti
(o «motivazione»).I consulenti non solo devono fare polizze ma devono
controllare che i clienti continuino a pagare queste polizze. L’Ina di Milano
non ha il problema del rischio di impresa, perché lo scarica sui consulenti.
Nel caso in cui il cliente non paghi una rata questa viene scalata dallo
stipendio del consulente. Se il cliente non paga anche le successive 2 rate al
consulente vengono tolte le provvigioni che gli sono state versate. L’esempio
ce lo fornisce l’ex manager “numero 1”: «Vendo una polizza da 1200 euro l’anno
e ricevo 360 euro di provvigione. Se un giorno il cliente (per suo problemi
personali) non paga la mensilità, vengono tolti 100 euro di stipendio. Se il
cliente continua a non pagare vengono tolti altri 100 euro il secondo mese e
100 euro il terzo: dopo il terzo mese mi scalano tutta la provvigione: 360
euro». L’ultimo stipendio conquistato da “numero 4”, ad agosto, è stato di 70
euro. Questo comporta che i consulenti, quando si trovano costretti a fare
polizze, cercano tutti i modi, legali od illegali per sopravvivere.Dice “numero
uno”: «I responsabili di struttura ed i manager sono spietati: hanno potere di
vita e di morte sui consulenti. Per tale motivo molto spesso è migliore
diventare amico del manager o del responsabile: gli amici mantengono il
lavoro». Gli antipatici vengono sempre, prima o poi, accompagnati alla porta
anche se nel frattempo hanno portato dei risultati. Il licenziamento viene
sempre evidenziato, per educare chi rimane. Formalmente nessuno si dimette,
tutti vengono licenziati, perché non è immaginabile che qualcuno possa lasciare
la compagnia. E poi ci sono le multe: il consulente che per sbaglio abbia
contattato una persona iscritta al registro delle opposizioni rischia di dover
pagare la multa dell’autority all’agenzia che arriva fino a 10mila euro. Per
evitare questo la «lista dei non contattabili» viene esposta «ufficialmente»
negli uffici: peccato che il consulente con la pagine bianche in mano debba
fare telefonate continue per ore e non possa consultare mai questa lista.
Naturalmente in azienda il sindacato è fuori legge: «Da noi – spiega Mimma
Fersini della Fisac Cgil – arrivano molti ragazzi che ci chiedono aiuto.
Forniamo assistenza legale, aiutandoli a recuperare i crediti, ma abbiamo le
mani legate. Giuridicamente sono solo consulenti e anche se avviassimo una
causa di lavoro nessuno di loro ha intenzione di tornare là dentro». Per chi
parla, poi, c’è lo spettro dell’ufficio legale. I consulenti operano su mandato
un contratto di 60 pagine che al momento della firma non è possibile leggerlo.
«Chi chiede di leggerlo – dice “numero 1” - molto spesso viene mandato via
subito. Ed è sempre fatto presente a tutti di non poter parlare di quello che
succede negli uffici». Nessuno deve sapere. D’altronde sono numeri, non
persone. d.c.r.m.p.s.