venerdì 29 giugno 2012


PRANDELLI, LA FORZA DI ESSERE NORMALI

di Sergio Conti 

La forza di Balotelli, certo. Il genio di Pirlo, sicuramente. La forza di De Rossi, ci mancherebbe. Le parate di Buffon, ovviamente. Eppure, dietro a quest’Italia che vince, piace, (ri)fa innamorare una nazione intera e ora sfiderà la Spagna, c’ è soprattutto la faccia di un uomo normale. Cesare Prandelli ha il sorriso del perfetto padre di famiglia. La voce calma e rassicurante che non deraglia mai in frasi fuori posto. L’ elogio della normalità, si direbbe. Laddove la normalità, nel suo lavoro di allenatore, è stata qualla di premiare i meriti dell’oggi e non guardare ai nomi o ai retaggi del passato. Ha portato in Nazionale giocatori che aveva messo ai margini quando li allenava nei club. Allroa credevo fosse giusto, forse ho sbagliato, oggi meriti di essere qui e ci sei, chissenefrega di quello che è stato. Ha raccolto le macerie di una nazionale distrutta da Lippi che, dopo i fasti di Germania, aveva agito in senso opposto. Dentro nomi e “protetti”, fuori i meritevoli, clamoroso specchio dell’ Italia che fallisce. Prandelli ha capovolto la logica, sfidato gli scettici e ha reso straordinaria la normalità. Premiare il talento, investire nei giovani, guardare oltre pregiudizi ed etichette, scegliere giocatori da Firenze, Bologna, Palermo, squadre reduci da annate mediocri o dal Torino che era in B. Certo, le fondamenta le ha messe salde e consolidate (Buffon, Pirlo, De Rossi) ma le colonne portanti sono poi diventati gli esclusi, i reietti, gli ingestibili, gli inallenabili. Cassano e Balotelli, oggi fratelli e orgoglio d’ Italia. Chi avrebbe scomesso sul primo dopo 4 mesi di inattività, un’ operazione al cuore e il rischio di non tornare più a correre dietro a un pallone? Prandelli non ha avuto dubbi. Sa che Antonio ha un’ ora nelle gambe, forse meno. “Ma tu vai, fai la differenza e torna” gli ha sorriso. E Antonio lo ha ripagato. Un gol contro l’Irlanda, la giocata decisiva contro la Germania. Lampi. Ciò che serviva. Eppoi Mario. Lui in guerra col mondo, lui incompreso, lui fuori dagli schemi, lui nero e insultato, lui solo e sempre e semplicemente troppo. Cesare ha preso quel troppo perché troppo è anche il talento e non ha esitato a mettergli sulle spalle il peso di una squadra, di una nazione, di un Europeo. Lo ha guardato dritto negli occhi e gliel’ha detto senza giri di parole. Come un padre al figlio che diventa grande. Non una sfida, ma un gesto di fiducia. Di responsabilità. Rinnovata anche quando non andava bene, il gol non arrivava, le occasioni sì, ma i gol no e allora sarebbe stato facile dire, ok, non importa, avanti un altro. Quanti, nell’Italia di oggi, avrebbero fatto altrettanto? Se Cesare ha un merito, e il suo passato lo insegna, è riuscire a fare di tanti individui un gruppo unito. A Firenze, per 5 nni, ha portato la squadra a risultati che sembravano normali ma non lo erano. La Fiorentina tra le prime quattro d’Italia e nel gotha d’Europa era una piacevole intrusa che lui aveva plasmato su di sé e sulla fiducia dei suoi uomini. Rimasti loro, uscito di scena lui, il campo ha ribaltato certezze e illusioni. E il gruppo lo si crea mettendoci la faccia. Come alla vigilia dell’Europeo, lo scandalo calcioscommesse, le perquisizioni, le pressioni, quel senso di marcio che si infiltrava ovunque. “Se volete, se serve, noi in Polonia e Ucraina non andiamo” sentenziò. Fermo, deciso, senza esagerazioni. Un titolo da giornali, certo, ma anche un modo per dire ai suoi, ok, ragazzi, in questa storia ci siamo dentro tutti insieme, nel bene e nel male e qualunque cosa accada si va tutti dalla stessa parte.E allora davvero, per una volta, il calcio che tutto fagocita può davvero portare una lezione al Paese. Scommettere su normalità, merito, fiducia, integrazione si può. Si deve. Prandelli ha tracciato un solco profondo. Unico. Lo ha reso semplice e spontaneo. E’ un patrimonio prezioso, da non sperperare.
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