domenica 21 novembre 2010

E UN GIORNO SILVIO MI CHIAMÒ «BEL BOCCONCINO...»


di Maria Luisa Busi


Ho conosciuto Silvio Berlusconi molti anni fa. Stava per nascere il Tg5, che da quel gennaio del 1992, fu come una scossa per l’allora incontrastata informazione del servizio pubblico. Dalla Rai erano appena passati a fondarlo Enrico Mentana come direttore, Lamberto Sposini, Clemente Mimun, vicedirettore. Fu Gianni Letta a chiamarmi. Con grande garbo mi disse al telefono che il Cavaliere voleva conoscermi per farmi un’offerta professionale. Ne parlai con il direttore del Tg1 Vespa, che mi fermò nel corridoio del montaggio del telegiornale, allora in via Teulada. «Vuoi andare al Tg5?» mi chiese secco. Risposi che non credevo proprio avrei fatto quella scelta. Ero arrivata da due anni, ero molto soddisfatta del mio lavoro lì. «Sono molto legata al servizio pubblico, lo sai» gli risposi. «Ma sono curiosa di sentire quale offerta mi faranno.» E poi la richiesta era stata assai cortese. E lusinghiera, anche, da parte dell’imprenditore che in quel momento rappresentava il nuovo nell’informazione, che sfidava la corazzata Rai, che aveva chiamato grandi professionisti a intraprendere quella avventura. Perché rifiutare di andare a un colloquio? Le offerte professionali si ascoltano sempre. Arrivo puntuale a via dell’Anima. Era inverno, tardo pomeriggio. Mi accolgono le guardie del corpo, al portone del palazzo. In ascensore, fino ai piani dell’appartamento. Un maggiordomo mi fa accomodare in una sala d’attesa, con un grande tavolo al centro, un vassoio con della frutta sopra. Pieno d’uva. Ricordo tutti questi particolari perché attendo parecchio in quella stanza. Seduta. Fino a che si apre una porta e compare il Cavaliere. «Come sta?» Affabile, mi stringe la mano con ambedue le sue, familiare, sembra mi conosca da anni. Dietro di lui Gianni Letta, si presenta anch’egli e in mezzo secondo quasi, mentre si presenta Berlusconi, mi chiede se non ho preso un po’ d’uva e me ne consegna in mano un po’, mentre dice «venga da questa parte che le faccio vedere la casa» e in un altro mezzo secondo procediamo e siamo in fila indiana dietro a Berlusconi che ci precede e io poggio l’uva su un tavolino di passaggio e facciamo molta strada e il capofila parla di continuo cordiale e dice guardi guardi di qua, le piace la casa, mi chiede, sì rispondo cortese e già un po’ interdetta. Ci sediamo nel salottino finale del percorso. Tutti e tre. Io su una poltrona. Gianni Letta su un divano. Berlusconi di profilo davanti a me. «Allora quando viene da noi?» esordisce, rivolgendosi anche a Gianni Letta come se stessimo lì a cose già fatte. Io accenno imbarazzata che veramente non so, dico, mi diceva il dottor Letta che volevate farmi una proposta professionale. Sono qui a sentire da lei. Parte una conversazione un po’ surreale, in cui Berlusconi imprenditore televisivo mi si rivolge come se la sottoscritta lo avesse cercato e quindi di cosa dobbiamo parlare? «Lei viene da noi perché noi siamo una grande famiglia» mi dice. «Lì in Rai non è così, conta la politica». «Qualche volta anche le capacità» provo a ragionare io. «Vespa mi ha appena assegnato alla conduzione del giornale...» Niente da fare, non lo convinco, fa no con la testa, dice deve venire da noi, in Rai oggi c’è domani non c’è più. Chiedo allora per quale ruolo vorrebbe impegnarmi nelle sue televisioni e dove. Dice ma sì, adesso vediamo intanto venga da noi ribadendo gli stessi concetti: loro sono una grande squadra, da loro non è come alla Rai. Chiedo di nuovo sempre più titubante quale sia la sua proposta professionale, che cosa pensi della sottoscritta. E lui risponde: «Beh, innanzitutto lei è un bel bocconcino». Lo dice così, come se nulla fosse, vuole fare un complimento, si capisce. E poi prosegue a parlare come niente, prosegue la frase forse dicendomi anche finalmente in quale ruolo mi vedrebbe nella sua nuova sfida televisiva e se per il Tg5 o se per il Tg4 o dove. Senz’altro lo dice ma io ho smesso di ascoltare e guardo Gianni Letta seduto e dico ma sta scherzando? E lo dico sorridente ma sbalordita, mentre Letta mi pare piuttosto imbarazzato e tenta di scusarlo, gli dice Silvio guarda che la signora è un tipo a cui penso che queste battute non piacciano. E rivolto a me anche, dice, sempre garbatissimo, guardi lei non lo conosce il Cavaliere è così lui, scherza. Berlusconi si sorprende e dice ma perché che cosa ho detto di strano, e che i tipi così lui li conosce e che è tutta apparenza. Sarà durata a dire tanto cinque minuti, la conversazione. L’ultima parte dopo il bocconcino, neanche una decina di secondi. Mi alzo, prendo la borsa e dico sorridente: «Vi saluto, credo che abbiate perso un po’ di tempo». E rifacciamo in fila indiana il percorso inverso: rivedo i saloni, cammino in fretta, rivedo gli acini che ho poggiato sul tavolino e Berlusconi e Letta dietro e il Cavaliere che ripete «Ma era una battuta, non vorrei si fosse offesa, ma lei non sta agli scherzi» e davanti all’ascensore mi offre un autista per andare via. «No, grazie prendo un taxi». Dopo qualche giorno mi arrivò comunque da Letta per iscritto una proposta di contratto.
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