DELRIO: «ICI PER LA CHIESA? CENSIRE GLI SPAZI COMMERCIALI»
A Se si vuole polemizzare è un conto, se si vuole discutere per risolvere i problemi un altro». Il sindaco di Reggio Emilia Graziano Delrio liquida con poche parole gli scenari da battaglia tra «clericali convinti e laici furiosi», che «non rendono un buon servizio a nessuno», e da presidente dell’Anci lancia la sua proposta per «eliminare ogni ambiguità» sugli obblighi di pagamento - ma pure sulle esenzioni - in tema di Ici, o meglio di Imu, per la Chiesa. Insomma, niente tabù ma neanche atteggiamenti punitivi. Lo ha detto anche Vendola... «Non credo che la Chiesa chieda o pretenda privilegi, ma solo di poter esercitare le sue attività. Fatto salvo il rispetto per la libertà di culto, il tema dell’Ici per gli immobili di proprietà ecclesiastica deve essere inquadrato secondo un principio semplice: laddove è chiaro il carattere commerciale delle attività svolte in un immobile, per quei locali l’Ici va pagata. Se di fianco a un santuario c’è un bar, non credo che questo sia funzionale al culto. In questi casi il tema si pone meno». Dov’è allora, il nodo? «Già oggi per le attività commerciali la Chiesa ha l’obbligo di pagare. La vicenda è molto più complessa di come viene disegnata. Non si tratta della volontà o meno di far versare l’Ici alla Chiesa. Il punto sono quei casi che il decreto Bersani, varato sotto il governo Prodi, ha definito di carattere ‘parzialmente’ commerciale e che godono dell’esenzione. Se il proprietario ritiene ‘parzialmente’ commerciale l’uso che fa di un immobile, non ha l’obbligo di presentare la dichiarazione ai fini dell’Ici». Ad esempio? Quali attività ricadono in questo spazio grigio? «Può essere il caso di uno spazio di accoglienza alberghiera gestito da un ordine religioso, magari legato a un luogo di culto: si può dire che è parzialmente commerciale o no?». Se fa concorrenza alle strutture ricettive private, non è commerciale? «Gli enti religiosi pensano di no. E non dichiarano ai fini Ici, ritenendolo ‘parzialmente’ commerciale. Il codice civile, però, non prevede l’esistenza di un’attività mista, commerciale e non commerciale. Quindi, in caso di contenzioso, tutto viene rinviato al giudice». Come intervenire, allora? «Innanzitutto occorrefare un censimentodegli immobili ecclesiastici. C’è chi dice che valgano più di un miliardo, in termini di gettito Ici. Bisogna averne un quadro preciso. E poi, con tutto il rispetto per il mio segretario, si potrebbe superare l’interpretazione di Bersani su quel ‘parzialmente’ commerciale». Quindi? «Una volta che si disporrà di un’anagrafe degli immobili, quelli destinati al culto ovviamente continueranno ad essere esentati e quelli commerciali - come è già stabilito - a dover pagare. Per i locali su cui esista un dubbio, credo sia giusto che sia il Comune di appartenenza a giudicare se vada versata l’imposta o meno, sulla base delle attività che si svolgono lì dentro». Un gruppo di 20 deputati del Pd proprio ieri ha chiesto con una mozione che la Chiesa paghi e che venga determinato al più presto il gettito che dovrebbe derivare dal patrimonio immobiliare ecclesiastico... «Certo, è fondamentale una ricognizione precisa. Ma come dicevo, la questione è complessa e il punto è che vanno eliminate ambiguità interpretative dalla legge. E dove va chiarito che tipo di uso si fa di un immobile, intervengano i Comuni». E questo garantirà davvero che la Chiesa paghi l’Imu anche per quegli immobili che finora usufruivano delle esenzioni grazie a quel “parzialmente commerciale”? «Credo proprio di sì. E se l’applicazione dell’Ici sarà affidata ai Comuni, come è sempre stato, sarà difficile che venga tassata una mensa della Caritas o i locali dove si fa il catechismo. Una volta eliminati i potenziali contenziosi, si rende giustizia alla Chiesa e ai cittadini».