martedì 12 febbraio 2013


USA,UNA VITA DA BOIA…ORA SI PENTE: BASTA ESECUZIONI

Una vita da boia, un futuro contro la pena di morte. Si può sintetizzare così la vita di Jerry Givens. Per 17 anni è stato responsabile in capo delle esecuzioni, in un momento in cui la Virginia mise a morte più persone di qualsiasi Stato Usa, Texas a parte. Il boia ha giustiziato 62 persone. Per tutti quegli anni ha rasato i condannati, ha posto la sua mano sulla loro testa pelata e ha implorato per loro il perdono di Dio, prima di legarli alla sedia elettrica. Ma da quando ha lasciato il suo lavoro, nel 1999, Givens è diventato un deciso oppositore della pena capitale. Il percorso interiore di Givens è simile a quello della Virginia e di tutto il Paese, ha sottolineato ieri il Washington Post. Perché se i sondaggi mostrano che la maggioranza degli abitanti dello Stato è ancora favorevole alla pena di morte, la Virginia ha però vissuto negli ultimi anni un’inversione di rotta che è lo specchio della svolta in atto in tutto il Paese. Negli ultimi cinque anni, la Virginia ha infatti messo a morte meno persone rispetto a ogni altro periodo di tempo a partire dal 1970. Robert Gleason, giustiziato il 16 gennaio scorso, è stato il primo giustiziato nell’ultimo anno e mezzo. A livello nazionale, nel 2011 e nel 2012 il numero di esecuzioni è stato il più basso di sempre, con un calo del 75% dal 1996, stando ai dati diffusi dal Death Penanlty Information Center.  Cinque Stati nel frattempo hanno bandito del tutto la pena capitale e il governatore del Maryland, Martin O’Malley, ha ratificato un piano per una moratoria. Il viaggio di andata e ritorno fatto da Givens verso la camera della morte non è avvenuto in modo rapido o facile. Per mettere in discussione il sistema, all’ex boia da Richmond, 60 anni compiuti, è servito molto l’aver quasi tolto una vita innocente, ma soprattutto esser finito lui stesso dietro le sbarre.  «Dalle 62 vite che ho preso, ho imparato molto», ha detto Givens. A rafforzare l’opposizione alla pena capitale è stata innanzitutto la consapevolezza di poter mandare a morte un innocente, come accadutogli nel 1993, quando il test del Dna rivelò l’errore giudiziario commesso contro Earl Washington Jr., condannato nel 1984 per lo stupro e l’uccisione di una ragazza di 19 anni, madre di tre figli a Culpeper. Washington, che aveva un quoziente intellettivo di appena 69, ammise l’omicidio, anche se molte delle sue risposte erano in contrasto con i fatti. La sua esecuzione fu fermata in extremis nel 1985 per ulteriori indagini. Il governatore di allora, il democratico L. Douglas Wilder, commutò la sua condanna in ergastolo e l’uomo fu completamente scagionato 8 anni dopo dal test genetico. Washington fu la prima persona «assolta» in Virginia con questo metodo. La sua vicenda ebbe grande impatto a livello locale e nazionale e fu uno dei primi casi assoluzione basati sul Dna. Da allora sono stati 302 i casi in tutto il Paese, tra cui 18 condanne a morte, ricorda oggi il Washington Post. «Se uccidi un uomo innocente, non sei migliore delle persone detenute nel braccio della morte», ha sottolineato Givens. Nel 1999 Givens fu accusato di riciclaggio di denaro e di aver mentito al tribunale federale. Givens si è sempre dichiarato innocente, ma fu condannato e costretto a dimettersi dal dipartimento di Stato. Da guardia carceraria divenne detenuto, trascorrendo 4 anni dietro le sbarre. Dopo il suo rilascio nel 2004, trovò lavoro come camionista, ma soprattutto iniziò a frequentare i movimenti contro la pena di morte. Iniziò a tenere interventi in tutto il Paese sulla sua esperienza come capo carnefice e la sua opposizione alla pena di morte. Ha anche scritto un libro. Tuttavia, si chiede ancora se ci fossero innocenti tra le 37 persone che ha messo sulla sedia elettrica e le 25 a cui ha fatto un’iniezione letale. L’uomo che pregava per il perdono dei condannati ha detto che ora è lui ad averne bisogno.
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