mercoledì 21 settembre 2011

SILVIO MUCCINO E L'EVANGELISTA «IL NOSTRO INNO ALLA DISOBBEDIENZA»

 
Fin dal titolo, parlano di rivoluzione. "Rivoluzione n. 9" di Silvio Muccino e Carla Vangelista è un romanzo su una ribellione che matura dentro ed esplode fuori: in corpi diversi e in tempi diversi. Sofia cresce negli anni Sessanta e parla tutto il giorno con Paul McCartney; Matteo vive una a una le paure degli anni Novanta. Sono uniti dalla imprevista possibilità di abitare uno il mondo dell’altra. La stessa casa, a distanza di anni. Con tutto ciò che una casa custodisce, come un archivio, e consegna. È così che, a distanza di tempo, Sofia e Matteo si incontrano, si parlano: prima da lontano, come in un sogno da svegli o nella macchina del tempo; poi nella vita. E si scoprono simili, perché simile è l’adolescente che è stato in loro. Simili sono i segni che lascia un'età carica di scoperte e al riparo dal disincanto. Ma anche scottata dall’inadeguatezza.«L'inadeguatezza - risponde Carla Vangelista – è la più grande delle malattie. A volte incurabile. L’adolescenza la rende più evidente, macroscopica, ma è l’ombra di qualunque età. Fin dall’infanzia siamo abituati ai doveri, costretti a scontrarci con le richiesta del mondo. “Fammi vedere quanto vali, quanto produci” ci viene continuamente detto. Senza una corazza di sicurezze, senza autocoscienza, si rischia di crollare. Ma è solo facendo i conti fino in fondo con le proprie debolezze, con le proprie paure - anziché nasconderle dietro una maschera ipocrita - che si può sconfiggerle , che si può crescere e vivere nel mondo reale». «In questo romanzo - prosegue Muccino - abbiamo usato l’adolescenza come pretesto per parlare di trasformazione. Nella vita adulta sono molti i momenti in cui si torna, si è adolescenti. Sono i momenti in cui si cambia pelle. Il personaggio di Matteo, a cui ho cercato di dare voce, è schiacciato da paure enormi che rischiano di farlo implodere. Intorno a lui c’è una famiglia a brandelli in cui è costretto a occupare ruoli che non sono suoi: si trova al posto di un padre assente, accudisce una madre incapace di essere madre. Per sopravvivere deve rompere questa gabbia, dire no, lasciare esplodere la rabbia».Il vostro libro, quindi, può essere letto come un inno alla disobbedienza? «Sì - risponde Muccino -, è una sorta di diseducazione sentimentale. Un formarsi al “no”,tanto più necessario per una generazione come la mia, disillusa e disincantata, a cui nessuno ha insegnato che al mondo esiste la possibilità di ribellarsi. Una generazione disabituata alla parola libertà e alla parola rivoluzione. Altrove, non lontano da noi, i giovani sembrano arrivati a un punto in cui la necessità di dire “no” è diventata vitale». Gli anni Sessanta in cui cresce il personaggio di Sofia, invece, hanno davvero formato una generazione alla ribellione? «Dall’infanzia di Sofia - risponde Vangelista - è difficile avere un presagio del Sessantotto. Certo, se parlo di me, da ex ragazza di quegli anni, posso confermare che una spinta alla rottura e al cambiamento c’era, ed era energica. Ma a fronte di questo, si respirava anche - in quegli anni di benessere diffuso - una coltre di ipocrisia. Dietro i grembiuli a fiori, dietro la finta soddisfazione del benessere materiale, c’era in realtà un’ insoddisfazione che non trovava sbocco. La famiglia, alla stessa Sofia, non dice “Bùttati”; quasi le chiede, invece, di restare bambina. Forse, la stessa politica, in quegli anni, i lunghi governi democristiani, per certi versi sembravano dire al paese “Resta bambino, lasciati guidare”». Quali sono quindi le differenze sostanziali tra il mondo di Sofia – anni Sessanta – e il mondo di Matteo – anni Novanta? «Sono diversi - spiega Muccino - i piani di ricerca della libertà. Sofia vive un mondo dove il fantastico, l’interiorità, sono liberi, sconfinati, mentre deve cercare libertà nel mondo reale. Al contrario, Matteo sprofonda in un mondo interiore asfittico, fatto di ricatti, sensi di colpa, insicurezze. Ed è lì, in quello spazio, che deve cercare libertà». «Sofia - interviene Vangelista - è molto più sola di Matteo. Matteo ha troppe persone intorno. Questa affollata solitudine è tipica dei nostri anni, un ronzio costante fatto di voci che proclamano il proprio star bene, il proprio divertirsi. Lui ha bisogno di una comunicazione autentica, senza maschere. Diretta. Di qualcuno che gli consegni le proprie debolezze. Come fa indirettamente Sofia lasciando in eredità, nella casa che Matteo va ad abitare, alcune polaroid che la ritraggono appunto “senza maschera”, sola e anche indifesa. Si tratta di autoscatti che non nascondono nessuna paura, che certificano la sua voglia di urlare». Le famiglie dei personaggi sono entrambe complicate se non dissestate. «Direi pure disfunzionali - risponde Vangelista -. Sia Sofia che Matteo faticano a conciliarsi con l’autorità. Non accettano un’autorità autoimposta sulla fiducia. Non basta dire “Io sono il padre, mi devi ascoltare”. È necessario mostrare una ragione credibile di quell’autorità. Anche in politica vedo questo rischio. In un paese familista come il nostro, il capo del governo ribadisce un’autorità che non è più autorevole». «Molte famiglie sono palestre - interviene Muccino - con obbligo di esercizi sbagliati. Restare passivi può somigliare a una patologia e in ogni caso, a un certo punto - finita l’infanzia -, è necessario mettere in discussione ciò in cui si è cresciuti, allontanarsi dalla zona che sembra più sicura, fare domande scomode. Non restare fermi. La citazione della "Genesi" che abbiamo messo a epigrafe, nella sua brutalità, dice che soltanto andando via dalle certezze è possibile trovare sé stessi: vattene via, vai verso te stesso».«Rivoluzione n. 9» vuole essere anche una staffetta generazionale, emotiva, tra i due personaggi e gli autori del libro? E c’è ottimismo, in questa staffetta? «È scritto a quattro mani - risponde Muccino - proprio in virtù del bisogno di un confronto tra me e Carla, tra Matteo e Sofia. È un contatto imprevisto e sfasato che apre l'opportunità di un dialogo. Matteo e Sofia finalmente trovano ciascuno l’interlocutore giusto: quello a cui consegnare qualcosa e da cui ricevere in cambio esperienza, vita vissuta. Senza gerarchie». Vi pare, in questi giorni cupi, di potervi proiettare oltre il disincanto? «Non riesco mai - risponde Vangelista - a essere totalmente pessimista. Guardo alle piazze europee affollate dagli indignados e mi dico: “Si muove qualcosa”. Gli adulti possono anche spegnersi e arrendersi del tutto, i giovani no. Sono biologicamente portatori di vitalità. Non è vero che questo paese è morto, ed è assurdo che qualcuno voglia convincerci di questo. Avendo vissuto gli eccessi della mia generazione, so che questa ribellione dovrà passare, per non essere vana, attraverso qualcosa di pacifico e non violento». «Sento - prosegue Muccino - che nella società italiana sta covando un enorme “no”: tra gli studenti, tra i lavoratori precari, perfino tra gli artisti che occupano teatri. Se diciamo “no” in tempo, ci salviamo. Altrimenti, continuiamo a farci portare per mano atraverso il baratro dai genitori sbagliati».                                                                       p.c.m.s.

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