BERSANI: «TOCCA A NOI RICOSTRUIRE L'ITALIA»
L'emergenza e la forza, le menzogne e la responsabilità, l'umiliazione e l'orgoglio. L'Italia di oggi e l'Italia di domani. Pier Luigi Bersani chiude la Festa del Pd di Pesaro consapevole che per lui questo è il momento di massima pressione da quando è segretario, perché sono in corso sommari processi mediatici il cui obiettivo ormai è fin troppo chiaro, perché c'è chi soffia sul fuoco dell'antipolitica e «pifferai magici» pronti a passare all'incasso, perché chi dovrebbe collaborare alla costruzione di un'alleanza troppo spesso attacca per incassare uno zero virgola in più. Ma soprattutto perché c'è un governo da mandare a casa e il tempo a disposizione è poco. «Berlusconi deve togliersi di lì o ci porterà a fondo», scandisce nel microfono mentre Piazza del popolo esplode in uno sventolar di bandiere. «Non ci si insulti raccontandoci che si può andare avanti così fino al 2013. Questo sarebbe il disastro. Se non si è disposti a un percorso nuovo, si anticipi l'appuntamento elettorale. C'è un problema politico in questo Paese. Averlo negato ci ha portati sull'orlo del precipizio. Chi lo nega ancora si prende una gravissima responsabilità».
LE ACCUSE
Un messaggio al centrodestra che insiste con una manovra che «non ci mette in salvo» e che dovrebbe seriamente riflettere sulla proposta di «una transizione che sia affidata a un governo più credibile davanti all'opinione pubblica nazionale ed internazionale». Ma il messaggio è indirizzato anche a chiunque abbia «un ruolo di direzione o di orientamento nella società» e che in questi anni di crisi finanziaria col suo «conformismo è stato complice di chi ci ha portato fin qui». Qui, ovvero a un'Italia ridotta a «strapuntino dell'Europa e del mondo», la settima potenza industriale e fra le dieci nazioni più ricche «costretta a subire l'umiliazione di essere guardata come una zavorra, come un rischio per l'Europa»: «Li accusiamo di aver mentito agli italiani occultando ed ignorando la crisi e di aver aggravato la crisi con politiche dissennate. Li accusiamo di essersi occupati notte e giorno dei fatti loro e non dei fatti degli italiani. Li accusiamo di voler sopravvivere truccando le carte senza avere né la forza per governare né la fiducia degli italiani e di lasciare il Paese senza rotta e senza timone». E chi ha avallato tutto ciò col proprio silenzio? «Adesso almeno si prenda atto che il Pd ha sempre detto la verità e ha sempre avanzato le sue proposte alternative. Questo ci dà diritto di essere ascoltati come si ascolta una forza di governo».
MANIFESTAZIONE A ROMA
Applaude la piazza, applaude il gruppo dirigente seduto sul palco dietro il segretario, che anche nell’immagine dà il senso del rinnovamento a cui punta Bersani («la ruota girerà», assicura, lanciando una generazione «già sperimentata» e dicendo no a «faziosità e personalismi»): ci sono i membri della segreteria, i responsabili di dipartimento, alcuni presidenti di Regione, mentre la partecipazione dei big è limitata a chi ha ruoli ben precisi, dalla presidente Rosy Bindi al vicesegretario Enrico Letta ai capigruppo Anna Finocchiaro e Dario Franceschini. Bersani chiede a tutti un impegno ulteriore perché «tocca a noi – dice – ricostruire il Paese». L'annuncio che fa di nuovo esplodere la piazza è per una manifestazione nazionale che si terrà a Roma il 5 novembre, «a sostegno dell'Italia, delle nostre idee per l'Italia e della necessaria svolta politica». Una decisione presa nei giorni scorsi col ristretto gruppo dirigente, superando anche alcune pressioni a farla insieme anche a Idv e Sel. Bersani gioca la carta dell'orgoglio Pd, rivendicando la «forza e la responsabilità» di quello che «già oggi è il primo partito»: «Chi vuole veramente voltare pagina da Berlusconi e dalla Lega e aprire un cantiere di riforme non può pensare di prescindere dal Pd, sarebbe un'illusione».
LE ALLEANZE
Un messaggio indirizzato in più direzioni, visto che ormai è chiaro che c'è chi lavora per una politica che «si metta in coda al sedicente leader carismatico di turno che suona il peffero e non sai dove ti porta». A Di Pietro e Vendola, insieme all'offerta di «un patto politico e programmatico» ne aggiunge però un altro: «Dovrà avvenire fra soggetti che si rispettino. Non pensi di discutere con noi chi prendesse l'abitudine di punzecchiarci e attaccarci tutti i giorni pensando con qualche furbizia di guadagnare uno zero virgola». Altrimenti? «Chi intendesse applicare pratiche che già in passato hanno distrutto il centrosinistra, farà da solo perché qui non si scherza». Il patto però Bersani vorrebbe chiuderlo anche con l'Udc, e per questo rinnova dal palco di Pesaro un appello a «tutte le forze moderate che non si ritengono di centrosinsitra ma che intendono fare i conti con il modello plebiscitario e lavorare per una ricostruzione del paese su solide basi costituzionali».
CRITICHE Sì, AGGRESSIONI NO
Ed è ancora giocando la carta dell’orgoglio che Bersani affronta la questione più spinosa, il coinvolgimento di Filippo Penati nelle inchieste sull'ex area Falck e sulla Serravalle. Il leader del Pd ci arriva dopo aver pronunciato il nome di Enrico Berlinguer, dopo aver detto che non vuole ricordarlo da qui solo con un applauso «ma con un impegno»: «Mai ci sarà da noi un diverso peso fra i diritti e le tutele di un politico, di un comune cittadino o di un immigrato, mai da noi un ostacolo al corretto svolgimento del compito della magistratura, che è quello di arrivare alla verità». Parte l'applauso, che poi si smorza quando spiega quasi nel dettaglio le modifiche allo statuto e le proposte di legge che il Pd presenterà per impedire i doppi incarichi e per garantire maggiore trasparenza sui costi delle campagne elettorali, e che poi torna a esplodere potente quando Bersani urla nel microfono: «È con la forza di questa assunzione di responsabilità e di questi comportamenti politici che diciamo attenzione! La critica la accettiamo, l'aggressione no. Non si facciano circolare contro di noi teoremi assurde, vere e proprie bufale o leggende metropolitane perché partono le denunce. Non passerà il tentativo di metterci tutti nel mucchio».
VA’ PENSIERO
Il sole è scomparso dietro il palazzo comunale, la camicia del leader Pd è ormai zuppa di sudore. «Riprendiamo il nostro cammino, riprendiamo la fiducia in noi stessi, riprendiamoci il futuro», scandisce Bersani chiudendo tra lo sventolio di bandiere. Abbraccia gli altri del gruppo dirigente, Carla Fracci che è voluta rimanere un giorno in più a Pesaro per ascoltare questo intervento. Parte la canzone «Cambierà», di Neffa. Un auspicio, una necessità. Il pomeriggio era invece iniziato sulle note del «Va’ pensiero». Dal pubblico non è stato immediata la comprensione del perché della scelta di un motivo di cui si è appropriata la Lega e qualcuno ha rumoreggiato. Ci pensa Bersani, poco dopo, a spiegarlo, dicendo che la sinistra non si farà più «sequestrare» le parole, «la parola del 25 aprile, data sacra che abbiamo difeso e che nessuno cancellerà mai», o parole come libertà. «E non ci sequestreranno più canti, come Va’ pensiero. Basta, ce lo riprendiamo quel canto e lo riconsegniamo a tutti gli italiani». Chiude, scende dal palco per stringere le mani delle prime file, per autografare le magliette con su scritto «o ragassi, siam mica qui a pettinar Bersani». Poi corre via, senza che la mamma di Valentino Rossi che è venuta fin qui per regalargli un cappelletto e una maglietta del figlio riesca a raggiungerlo.