sabato 12 marzo 2011

L'ITALIA? E' COME LO
STIVALE DI GARIBALDI

 

Garibaldi non è mai sceso dall'Aspromonte: zia Lisabetta giura d'incontrarlo tutte le mattine, quando all'alba va nel terreno di famiglia, una mezza timpa in discesa infestata da castagni semoventi, gatti parlanti e noci profetici. “Buongiorno Generale” lo saluta la zia, educata. E lui, cordiale: “Buongiorno, signora. Come va oggi?” e poi prosegue per sentieri segreti (l'Aspromonte ha un numero incalcolabile di passaggi, attraverso passati e futuri) col suo poncho e gli stivali camperi che fanno rumore d'esercito. In effetti, per le zie Garibaldi è il santo laico più vecchio di tutti, viene prima di Che Guevara, di Gramsci e di John Kennedy. Ma in qualche modo è anche il più domestico, visto che il suo sangue fa ancora odore di ferro e sale, al Cippo di Gambarie, e la sua foto consunta – quella famosa con la ferita bene in vista, la spada, le medaglie allineate sulla camicia rossa e sullo sfondo un portone di legno rinforzato preciso a quello di nonno Stefano – che ammonisce come il primo giorno (e non c'è nulla da fare: ho provato, io nipote positivista, a dire alle zie che si tratta d'un falso: “Certe volte la verità è un'intenzione” mi rispondono, imperative e categoriche, quelle filosofe). Garibaldi è l'Italia delle zie, l'Italia mitologica non più grande d'un cortile, dove siamo tutti imparentati, se non per sangue almeno per intenzione e affetto,e parliamo la stessa lingua soprattutto perché vogliamo capirci. Garibaldi non si farà mai eleggere per farsi i fatti suoi, non corromperà tribunali e coscienze, non userà il suo immenso potere per costruire ingiustizie. Garibaldi ha preso l'Italia pezzo per pezzo e l'ha ricomposta come un puzzle, aiutato dal fatto che la letteratura e l'arte e la lingua e persino la natura già lo avevano composto, quel puzzle, ed era venuto fuori uno stivale, come quello del generale, donato dagli operai di Milano e sforacchiato dalla pallottola dei nemici e poi raccolto come una reliquia in Aspromonte il 29 agosto 1862 dal volontario Rocco Ricci Gramitto da Girgenti. Quello stivale, frutto d'un dono generoso, calzato in marcia e in combattimento, bucato dal nemico, raccolto e conservato come una reliquia è come l'Italia. Le zie raccontano sempre la storia del generale, dello stivale e dell'Aspromonte che lo ospitò, anzi lo accettò perché è una montagna vecchia e suscettibile, ma che sa benissimo di trovarsi in un punto di quello stivale: la parte per il tutto, e il tutto per la parte. Le zie non lo sanno, ma il loro Risorgimento senza fine sta tutto lì.
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