lunedì 10 settembre 2012

BERSANI/ «PRONTI AL GOVERNO DECIDE L'ITALIA, NON I BANCHIERI» 

Di primarie il leader democratico parla dopo cinquanta minuti abbondanti che ha iniziato, per dire che serviranno a discutere dell’Italia, non degli equilibri interni al partito perché per questo ci sarà l’anno prossimo un apposito congresso. C’è l’appello alle forze moderate per un impegno comune contro destra e populismi di vario genere e c’è la garanzia che in caso di vittoria una generazione nuova e sperimentata verrà portata al governo. L’area centrale di Campovolo è invasa da militanti e simpatizzanti arrivati da tutta Italia. Il gruppo dirigente del partito è sotto il palco. Sopra, accanto al segretario, ci sono i volontari della Festa e i sindaci dei Comuni colpiti dal terremoto. C’è da ricostruire lì e c’è da ricostruire l’Italia, ed è di questo che Bersani vuole parlare. Renzi non viene mai citato, anche se è abbastanza chiaro il riferimento, quando il leader democratico dice che il rinnovamento si farà sulla base della qualità e del merito, delle capacità, delle competenze e anche della generosità, «che vuol dire una cosa semplice: prima c’è l’Italia, poi il Pd e il suo progetto per l’Italia, poi ci sono le ambizioni personali». Berlusconi, Bossi, Tremonti vengono liquidati con poche battute, giusto per ricordare di chi sono le responsabilità di un Paese economicamente stremato, perché i veri avversari con cui bisognerà fare i conti a questo giro sono altri, a cominciare da chi «comanda stando in un tabernacolo e non risponde a nessuno» (leggi Beppe Grillo) e ai tanti interessati a che nulla cambi. Avversari non sempre dichiarati, magari gli stessi che fino a un anno fa per opportunismo «hanno finto di prendere per buone le castronerie di imbonitori prepotenti e rozzi, sperando che i buchi nella nave facessero bagnare solo la terza classe». Avversari che, è già chiaro, nei prossimi mesi «non lasceranno nulla di intentato» pur di impedire la nascita di un governo a guida Pd. Per questo Bersani lancia dal palco della festa nazionale del suo partito un richiamo «alla responsabilità e all’unità». Perché l’impegno assunto dal centrosinistra questa volta «non potrà tollerare né incertezze né ambiguità né divisioni» e perché «tutti devono avere cura del bene comune e della speranza per l’Italia che è il Pd»: «A tentare di demolirci ci pensano gli altri. È il loro mestiere, non il nostro». Sventolano le bandiere, scattano gli applausi, ma a nessuno sfugge qui a Campovolo quanto sarà dura la sfida. Bersani parla mentre sia da Cernobbio che dalla festa dell’ Udc di Chianciano si invoca un Monti bis. Il leader del Pd ripete che il suo partito garantirà la stabilità dell’attuale esecutivo e però senza precludersi la possibilità di parlare della prospettiva delle elezioni: «Sempre naturalmente che Moody’s o Standard and Poors non ce le aboliscano sostituendole con una consultazione fra banchieri».Una frase provocatoria, ma visto il dibattito in corso, solo fino a un certo punto surreale. «Tocca agli italiani, solo agli italiani e a tutti gli italiani decidere chi governerà». Ancora applausi e sventolio di bandiere per un concetto che dovrebbe essere assodato e che invece evidentemente non è. Tutta la discussione sulla continuità con l’agenda del governo Monti, che agita le acque all’interno dello stesso partito, viene liquidata così da Bersani: «Noi consideriamo la credibilità e il rigore che Monti ha mostrato davanti al mondo un punto di non ritorno. Ma vogliamo metterci dentro più lavoro, più uguaglianza, più diritti». Poche parole ma che significano una serie di profonde riforme che il Pd, assicura Bersani, realizzerà una volta al governo. A partire da questa: «Se tocca a me si comincia dal primo giorno col chiamare italiani i figli di immigrati che studiano qui e che oggi non sono né immigrati né italiani». E non è casuale la scelta di chiudere il discorso prendendo poi in braccio una bimba nata a Reggio Emilia da genitori del Ghana: Ambra, quattro anni, che fa ciao con la manina mentre il segretario sembra il più emozionato tra i due. Ma ci sono anche altri diritti oggi negati che domani dovranno essere riconosciuti per sostanziare quell’aspirazione al cambiamento che promette Bersani («noi ci metteremo dal lato del cambiamento»). «Non c’è ragione che si neghi agli omosessuali italiani il diritto all’unione civile o a una legge contro l’omofobia», scandisce il leader del Pd dal palco mentre di nuovo parte forte l’applauso. Oggi sono ancora troppi i diritti negati, gli sfregi all’articolo tre della Costituzione, le discriminazioni nei confronti delle donne e anche di lavoratori che scelgono di farsi rappresentare da un sindacato piuttosto che da un altro (leggi Fiom e vicenda Fiat): «Non c’è ragione che vengano negati nei luoghi di lavoro diritti di partecipazione e diritti sindacali». Il cambiamento dovrà passare però anche per una legge che riduca il numero dei parlamentari e una sui partiti («non è stato fatto perché la destra ha ribaltato il tavolo»), una legge elettorale costruita sull’interesse comune (e quindi no a leggi che paralizzano e non consentono agli elettori di scegliere i parlamentari) e anche interventi per la regolazione della finanza: «Deve pagare un po’ di quel che ha provocato, non deve più avere licenza di uccidere, deve mettersi a servizio e non a comando delle attività economiche e produttive». È di questo che parlerà durante le prossime settimane Bersani, anche in vista delle primarie. E se la destra già va all’attacco, se i grillini sparano dal web, se il tentativo di inquinare il risultato non mancherà, il leader democratico avverte: «Chi ci dà lezioni di morale organizzi le primarie, anche i loro elettori hanno voglia di partecipare, o pensano di mandarli alle nostre? Noi faremo le nostre primarie, chi non le fa si riposi».                                                            m.c.p.s.r.d.

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