sabato 8 ottobre 2011

IL NUOVO (PERFETTO) NOME DEL PDL? DA "FORZA GNOCCA" A "FORZA PUFFO"



Di sicuro gli esperti a cui Berlusconi si rivolge per trovare in fretta il marchio del nuovo partito in grado di frenare l’emorragia di consensi del Pdl prima opoi ci arriveranno: non sarà “Forza Silvio”; non sarà “Forza Gnocca” (“Go Pussy”, secondo la traduzione delle testate internazionali); sarà invece “Forza Puffo”. Il primo marchio avrebbe puntato tutto sulla figura carismatica del leader, ma siccome è stanca e appannata potrebbe rivelarsi controproducente. Il secondo non diciamo su cosa punta, perché in questi giorni lo si è detto abbastanza e perché lasciamo ai seguaci del Cavaliere il compito di giustificare simili volgarità. Il terzo, invece, porta con sé la soluzione. L’aiuto decisivo a trovare la giusta panacea ai malanni del centrodestra viene dalla felice (si fa per dire) congiuntura: è da poco uscito nelle sale il film sui puffi, e la rivista «Alfabeta 2» ha rimesso prontamente in circolo il brillante saggio che Umberto Eco dedicò a suo tempo ai piccoli puffi. Sicché basterà che i comunicatori del Cavaliere vorranno dargli una scorsa e il gioco sarà fatto: un puffetto azzurro, bassino ma simpatico, campeggerà sulle bandiere del nuovo soggetto politico. Cosa infatti spiegava Eco in quel saggio? Nient’altro che il sorprendente funzionamento del linguaggio puffo. I puffi, questi amabili e spensierati pupazzetti, non fanno altro che puffare tutto il santo giorno: mettono cioè coniugazioni e declinazioni della parola «puffo» ovunque ci si capisca benissimo anche in assenza dei termini propri della lingua. Che io dica: «non c’è niente da puffare » o «non c’è un puffo da fare», si capisce che in un caso e nell’altro non c’è niente da fare. Un linguaggio del genere, pur ingolfato all’inverosimile di omonimie, funziona ugualmente per due ragioni: perché il contesto, ossia la vignetta, aiuta a disambiguare la frase, e perché «puffo» e i termini derivati compaiono sempre in luogo di espressioni stereotipate, idiomatiche e ipercodificate. Questo è il punto: «puffo» va benissimo tutte le volte in cui con la parola non ci si aspetta che si voglia dir nulla più di quanto non si sappia già. Tutte le volte che diciamo «passami questo» o «prendi quello» in fondo non facciamo che puffare: la parola non dice nulla, e tuttavia ci capiamo lo stesso. Ora, cosa c’è di meglio, di più efficace sul piano comunicativo e di meno impegnativo su quello politico, di una parola che non vuol dire nulla e che tutti capiscono? D’altra parte, cosa sono divenuti in tutti questi anni i nomi e i simboli che il centrodestra ha usato nelle proprie bandiere? Parole che hanno progressivamente perso qualunque connotazione: cosa vuol dire «Italia», per un partito il cui leader pensa – almeno privatamente o nei momenti di amarezza - che questo sia un Paese di merda, e che si allea con una forza, la Lega, che di quel pensiero non fa invece mistero e anzi mena pubblicamente vanto? Quanto a popolo della libertà: al massimo «popolo» vuol dire oggi popolarità (ed è pure in calo), e nulla più che abbia a che fare con i bisogni popolari. E la libertà: non c’è giorno che non si alzi qualcuno, nello stesso centrodestra, per dire che la maggioranza ha smarrito la sua originaria ispirazione liberale, ed effettivamente non si vede in cosa saremmo più liberi dopo la cura berlusconiana (mentre ormai è chiaro a tutti chi sia il più licenzioso). Dunque le parole non contano. Al limite si potrebbe scrivere sulle bandiere “Forza questo!” ed esser pronti per l’ennesima campagna elettorale, la sesta, del Cavaliere. Il fatto è però che una politica ridotta a votare per «questo», anche se accompagnata da barzellette e pacche sulle spalle, non è una politica: è il suo svuotamento, la sua finale destituzione di senso. Ed è quello che già adesso accade, in questioni decisive per il Paese: dal decreto per lo sviluppo alla nomina del nuovo governatore, si tratta sempre meno di indicare prospettive per il Paese, e sempre più soltanto di chi la spunti fra «questo» e «quello». L’avventura di Silvio Berlusconi ha avuto inizio con Forza Italia. Che finisca con Forza Puffo suona ironico – ci si capisce benissimo anche senza rendere esplicito su cosa si sta facendo ironia e su chi faccia la figura del puffo – ma è purtroppo l’epilogo tristemente congeniale a questa storia. Che qualcuno deve pur aiutare, però, a scongiurare, prima che si finisca tutti nel ridicolo.     r.c.d.p.s.
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