martedì 18 dicembre 2012



DEPARDIEU NEL PARADISO FISCALE NON È L'UNICA STAR IN FUGA

Depardieu ha lasciato l’amaro in bocca alla sinistra francese, trasferendo come altri paperoni la sua residenza nel vicino Belgio, fiscalmente più ospitale della Francia di Hollande. E per sancire il divorzio definitivo ha messo in vendita anche il suo prestigioso palazzetto a Saint-Germain-des-Pres per 50 milioni di euro: 1.800 metri quadrati nel cuore di Parigi, fatti costruire dal barone di Chambon nel 1820 e acquistati da Depardieu nel 2003. Solo un paio di giorni fa, l’archistar Calatrava ha messo al sicuro le sue fortune in Svizzera, accumulate grazie alle ricche commesse pubbliche spagnole che lo hanno portato alla ribalta anche per l’impovviso lievitare - all’insaputa del contribuente-dellepercentuali delle sue spettanze. Naturalmente Depardieu e Calatrava non sono i soli al mondo a cercare di pagare meno tasse. Nel solo Belgio si contano 5000 «esiliati fiscali» francesi. Negli Stati Uniti, una campagna elettorale costata sei miliardi di dollari alla fine della fiera si riduceva a due messaggi opposti: l’insistenza di Obama perché i più ricchi contribuissero di più alle risorse dello Stato, anche in nome di un principio di equità, e l’altrettanto ferma difesa repubblicana di un fisco il più lieve possibile, specialmente per i redditi più alti, teoricamente creatori di imprese e posti di lavoro. Obama l’ha spuntata, ma solo per ritrovarsi - sia pure più forte - davanti al baratro fiscale, che attende l’America allo scoccare del 31 dicembre in assenza di un accordo per ora lontano. Poco più di un anno fa Occupy Wall Street lanciò lo slogan diventato poi celebre del 99%, contrapposto a quell’1 che ingloba ricchezza e potere - e che per questo finisce per minare la stessa democrazia. Plutocrati,si sarebbe detto in altri tempi.Le percentuali potranno anche non essere matematicamente veritiere ma è una tendenza globale. In Italia scopriamo, per dire, che il 10 per cento della popolazione detiene quasi il 50 per cento della ricchezza del Paese.Per restare alle statistiche del pollo, è come se - a tavola - mezzo finisse in un solo piatto, lasciando gli altri nove commensali a litigare intorno alle briciole: un sistema insostenibile. E gli indici di Bankitalia ci dicono che nel tempo il divario è cresciuto: qualcuno è diventato sempre più grasso, la maggioranza ha cominciato a stringere la cinghia. Abbiamo perso lavoro, scuole e ospedali: siamo un Paese in via di sottosviluppo.In Francia Hollande ha sostenuto l’aliquota del 75% per i redditi eccedenti il milione di euro. Misura temporanea da applicare per due anni, per rafforzare le capacità dello Stato davanti alla crisi. E si è ritrovato diversi Depardieu in partenza, contro i quali - spiegano i costituzionalisti - non è possibile invocare la revoca della nazionalità: misura simbolica e niente affatto compensativa per il mancato introito fiscale. Oltre che appellarsi all’etica, ad un principio di solidarietà e responsabilità collettiva come ha fatto implicitamente il premier Ayrault, non si può fare nulla. Nemmeno imporre sanzioni: perché la Ue stabilisce la libera circolazione di uomini e merci, e non è reato cambiare residenza. Lo è tanto poco, che dalla sempre più euroscettica Gran Bretagna, David Cameron ha promesso ponti d’oro per gli esuli fiscali d’oltre Manica: Londra li aspetta a braccia aperte, con le loro valigie piene di soldi. È per certi versi lo stesso meccanismo che finora ha frenato la Tobin tax. Inutile tassare le transazioni finanziarie - si dice - a meno di non vederle migrare su altri e più benevoli mercati. È la globalizzazione, bellezza. Solo che la globalizzazione potrebbe anche essere quella che fa scattare un meccanismo solidale, quando finisce in carcere un giornalista greco per aver pubblicato la lista degli evasori fiscali e l’Europa reagisce sdegnata, per trovarsi qualche settimana dopo con il governo di Madrid che addirittura propone, come ha fatto ieri, di pubblicare una lista analoga: una gogna virtuale, che certo da sola non basta e rasenta persino il populismo. Globalizzare, su scala europea, potrebbe invece voler dire cercare un meccanismo comune per evitare che gli evasori o i potenziali esuli fiscali finiscano per trovare spiagge dorate altrove. Perché in questa crisi nessuno si salva da solo: soprattutto gli Stati.
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