domenica 23 settembre 2012


DOPPIOPETTO E APPLAUSI AI TECNICI ECCO LA NUOVA LEGA DI MARONI

Che ci fa Corrado Passera agli Stati generali del Nord convocati dalla Lega al Lingotto di Torino? E perché mai il sindaco di Verona Flavio Tosi, volto assai più che emergente della nuova Lega targata Maroni, si spreca in elogi per il Superministro dello Sviluppo, arrivando a dire che «la Lega non è contraria a priori ad un prossimo governo guidato da Passera»? In queste due domande, e nelle relative risposte, sta una traccia per capire la metamorfosi che il nuovo leader sta imprimendo al Carroccio, sempre più in doppiopetto, sempre più sensibile ai salotti buoni e sempre più lontano dalle ampolle, dai riti celtici e dai Borghezio. E soprattutto, sempre più bisognosa, la Lega, di costruire nuovi rapporti politici, per sfuggire alla strettoia mortale tra un nuovo abbraccio col Cavaliere, una corsa in solitaria o il proposito (ormai accantonato) di non partecipare alle prossime politiche per ritirarsi nella macroregione del Nord, in una sorta di sbiadita fotocopia della Cdu bavarese. Nella testa della nuova guardia leghista c’è sempre il «modello Verona», guarda caso l’unica grande città in cui la Lega ha vinto alle ultime amministrative. Con quale modello? Fagocitando pezzi del Pdl imploso, e aprendo la lista del sindaco Tosi a pezzi della società civile, a partire, appunto, dai poteri forti cittadini, fondazioni bancarie, imprenditori, salotti buoni. Lasciando il giovane sindaco a incarnare l’anima popolare, e anche popolana, con cui mascherare e rendere più friendly un sistema di potere ben congegnato, in stile vecchia Dc. Ecco, Maroni sta cercando di fare la stessa cosa, ma in scala assai più ampia, e dunque con tutte le inevitabili difficoltà. Per questo a Torino sono stati invitati Passera, molti imprenditori, il presidente di Confindustria Squinzi, il numero uno di Rete imprese Italia Giorgio Guerrini e poi un poker di banchieri capitanati da Giuseppe Guzzetti dell’Acri. Oltre a Oscar Giannino, giornalista economico ma soprattutto alfiere di una lista liberista che da un paio di mesi lavora fianco a fianco con Italia Futura di Montezemolo. Insomma, a Torino ci saranno due dei principali protagonisti della scena politica del nuovo centro, Giannino e Passera. Il primo con venature più destrorse, il secondo con lo sguardo più a sinistra. Ma la sostanza non cambia. È in questo risiko che la Lega di Maroni intende infilarsi. Arrivando fino a ipotizzare un alleanza elettorale, se dovesse restare il Porcellum. E se Passera dovesse imprimere un approccio “nordista” a un contenitore sempre mano iodentificabile con la vecchia Udc. Intanto, si comincia con il biglietto da visita di Torino. Con cui Maroni intende cancellare anni di pregiudizi sulla Lega xenofoba e urlante, e mostrare i gioielli della sua nuova classe dirigente. A partire da Tosi, di cui si parla da qualche tempo come possibile candidato premier del Carroccio. Lui smentisce, e non a caso parla di un governo Passera. I rapporti tra i due si sono intensificati da quando il ministro ha deciso di sponsorizzare (pare con una certa determinazione) il progetto di una nuova città metropolitana a Verona, e cioè la creazione di un polo del veneto occidentale che possa fare da contrappeso al potere di Venezia. Un progetto a cui, naturalmente, il sindaco scaligero tiene tantissimo. Un patto tra pragmatici, dunque. Che potrebbe essere foriero di novità politiche. Magari anche solo un sostegno della Lega a un prossimo governo di unità nazionale a guida Passera. Dopo mesi di piazze e di strali contro il governo Monti (da ricordare il No Imu Day a Verona, seguito dal pagamento della tassa da parte di Maroni), dunque, la Lega sembra pronta a cambiare strada. Nella minoranza ancora legata all’ortodossia bossiana la questione è stata accolta con un certo sarcasmo («Finiremo persino a rincorrere Casini e i ministri di Monti?»), ma nessuno sottovaluta la portata dell’operazione. Neppure Montezemolo, che pure al Lingotto non andrà. E che sul Carroccio è stato artefice di uno dei suoi frequenti mutamenti d’opinione, passando in pochi giorni dalle lodi per i «bravi amministratori» agli attacchi forsennati contro la «deriva xenofoba alla Le Pen». Ora che il rischio razzista si è molto attenuato, assicurano fonti del Carroccio, anche il patron Ferrari «è tornato a guardare a noi con attenzione». Soprattutto se deciderà di abbandonare i progetti centristi e deciderà di diventare il front man di un nuovo centrodestra. Magari con pezzi di Pdl post-scissione. Come è successo pochi mesi fa proprio a Verona.
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