martedì 21 dicembre 2010

E' MORTO ENZO BEARZOT: IL CT AZZURRO CAMPIONE DEL MONDO NELL'82 IN SPAGNA


Aveva 83 anni. La pipa e il naso da boxeur, una vita nel calcio Indimenticabile la vittoria del Mundial e gli abbracci con Pertini


di SERGIO CONTI


È morto Enzo Bearzot. L'ex ct azzurro campione del mondo nel 1982 aveva 83 anni. Nato ad Aiello del Friuli il 27 settembre 1927, prima di diventare allenatore della nazionale Bearzot è stato anche giocatore vestendo le maglie di Pro Gorizia, Inter, Catania e Torino. Bearzot è morto a Milano, nella sua casa in zona Vigentina. L'ex commissario tecnico della nazionale era gravemente malato da ttempo. La famiglia ha deciso di mantenere il più stretto riserbo. Il suo naso, da boxeur, e la pipa, perennemente accesa, hanno fatto la felicità dei vignettisti per anni. Erano i segni distintivi di Enzo Bearzot, scomparso oggi ad 83 anni. Detto il Vecio, come si fa per tutti i friulani doc (era nato ad Aiello del Friuli il 26 settembre '27), anche per quelli che vecchi non sono. Ed in effetti lui non lo è stato mai, in questo aiutato dalla passione del calcio, che lo aveva preso da ragazzino, quando in un collegio di Gorizia dormiva con la foto di Campetelli, centromediano dell'Inter, sotto il cuscino. E non era taciturno, nè introverso - come sostenevano i suoi denigratori -, soltanto non gli piaceva sprecare le parole. Fosse stato come lo dipingevano, non avrebbe mai creato il gruppo che conquistò il terzo titolo mondiale del calcio italiano nel 1982 in Spagna. Un gruppo che non si è mai sciolto, neanche quando qualcuno si è allontanato dal pallone (come Paolo Rossi), oppure è stato prematuramente rapito dalla morte (come Scirea). Un gruppo che ha mantenuto i contatti con l'uomo che l'ha plasmato e che continuerà a considerarlo vivo. Un legame veramente speciale quello che legava gli azzurri a Enzo Bearzot, riconoscenti perchè prima di condurli al traguardo più importante della loro carriera, aveva saputo difenderli da critiche feroci. E li aveva sostenuti quando decisero quel clamoroso e innovativo silenzio stampa che anche oggi, di tanto in tanto, viene imitato da questa o quella squadra di club. Portavoce era Dino Zoff, altro friulano di poche parole, che Bearzot considerava il suo terzo figlio, e che un giorno si sarebbe seduto sulla panchina azzurra con minor fortuna. Nel dicembre del 2000 il gruppo si strinse ancora una volta intorno a Bearzot, che presentava (con l'autore Gigi Garanzini) il libro biografico, 'Il romanzo del veciò. In quella serata il tecnico sorprese i suoi vecchi allievi rivelando che il calcio non gli mancava, pur amandolo, perchè «sentivo di non appartenervi più ». C'era amarezza nelle sue parole, un pò di malinconia, forse stimolata dalle note del jazz (questa musica era la sua seconda passione, naturalmente dopo il football). Quella sera Bearzot parlava del calcio al passato remoto, come di una storia finita tanto tempo prima. Ma dopo poco più di un anno - a gennaio del 2002 -, mettendo fine a un distacco ventennale, Bearzot aveva accettato con rinnovato entusiasmo l'invito della Federcalcio ad assumere la responsabilità di presidente del settore tecnico della Figc. In quell'occasione Claudio Gentile, uno del gruppo, allora tecnico della Under 21, ricordando il bel gioco espresso dalla nazionale nei mondiali del '78 (Argentina, azzurri quarti) e dell«82, lo definì il miglior ct azzurro dopo Pozzo (morto come lui il 21 dicembre, del 1968), sostenendo che »Enzo Bearzot non deve restare lontano dal calcio, perchè il calcio è il suo mondo«. E lui: »Sono contento perchè l'indicazione viene dal mio mondo«. La sua avventura nel calcio era cominciata come giocatore: dalla Pro Gorizia, era passato, ventenne, all'Inter, poi al Catania, poi all'Inter nuovamente, ed aveva terminato la carriera al Torino. Era un difensore grintoso ma corretto, non privo di tecnica. Delle sue esperienze di calciatore seppe far tesoro alla guida della nazionale, riuscendo ad utilizzare al meglio i giocatori che sceglieva, incurante dei suggerimenti e delle critiche della stampa, anche quando i risultati non gli davano ragione. Fautore del 'primo non prenderlè non fu mai catenacciaro. Fu maestro invece nell'esaltare l'arte del contropiede con cui nell'82, nel Mundial, di Spagna schiantò una dopo l'altra Argentina, Brasile e Germania. Indimenticabili le imprese dei terzini-ala Cabrini e Gentile, delle ali a tutto campo Conti-Graziani, di Tardelli, giocatore universale, di Zoff portiere-saracinesca, di Paolo Rossi guizzante, imprendibile opportunista sotto rete, di Scirea, direttore d'orchestra di un gioco che a tratti ricordava il free-jazz per la sua imprevedibilità. Paradossalmente, però, quattro anni dopo, l'attaccamento al gruppo, e la conseguente incapacità a rinnovare, fu fatale a Enzo Bearzot. Al cospetto di risultati negativi (mancata qualificazione agli Europei '84, eliminazione negli ottavi del mondiale messicano '86), attaccato dalla critica e di fronte all'ostilità del vertice federale, preferì lasciare anzichè rinunciare alle sue convinzioni. Ma nella storia del calcio, e non solo, rimarranno sempre le immagini delle imprese precedenti. L'urlo e la corsa pazza di Tardelli, dopo il gol alla Germania. E quel giovane Vecio, dal naso di boxeur e dalla pipa eternamente accesa, che sull'aereo degli eroi di Madrid, gioca a briscola con Causio, Zoff e il presidente della Repubblica Pertini, un altro celebre appassionato della pipa, un altro Vecio che, come lui, non invecchiò mai. Bearzot ha collezionato anche una presenza in Nazionale da giocatore e in totale ha disputato 251 partite nella massima serie. Al termine della sua carriera da giocatore, nel 1964, iniziò l'apprendistato tecnico sulla panchina del Torino prima come preparatore dei portieri e poi da assistente di Nereo Rocco, poi di Fabbri e, successivamente, nella stagione 1968-1969, divenne allenatore del Prato (in serie C). Entrò ben presto nei quadri federali, inizialmente come allenatore delle giovanili (under 23 all'epoca) ma ben presto venne promosso ad assistente di Valcareggi nella Nazionale maggiore e quindi a vice del suo successore, Fulvio Bernardini. Nel 1975 è stato nominato commissario tecnico (condivise la panchina con Fulvio Bernardini fino al 1977). I primi importanti frutti del suo lavoro iniziarono a vedersi ai mondiali del 1978, terminato al quarto come l'Europeo casalingo del 1980. Il miracolo avviene in Spagna nel 1982: nonostante una critica feroce da parte dei giornalisti (che lo portò a introdurre la novità del silenzio stampa), riuscì a portare la Nazionale sul tetto del mondo, grazie anche a una preparazione morale, basata sulla forza del gruppo, oltre che tecnica e grazie a giocatori come Cabrini, Zoff, Conti, Collovati, Scirea, Gentile, Bergomi, Oriali, Tardelli, Graziani, Rossi, Altobelli, Antognoni. Dopo il Mondiale vinto, non riuscì a qualificarsi all'Europeo successivo, dimettendosi dopo il deludente Mondiale 1986. Il Vecio, soprannome con il quale era ormai famoso, non si riconosceva più in quel calcio in cui il denaro stava diventando l'elemento più importante. Detiene il record di panchine azzurre: 104, davanti alle 97 di Vittorio Pozzo.
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