MUCCHETTI: «ECCO COME USCIRE DALLA CRISI MONDIALE DEI MEDIA»
Grande firma del giornalismo economico, Massimo Mucchetti,
già vicedirettore ad personam del Corriere della Sera, si presenta come
candidato al Senato per il Pd. Fine conoscitoredegli ambienti imprenditoriali,
indagatore dei segreti finanziari più inconfessabili della cosiddetta “razza
padrona”, Mucchetti negli anni ha subito, a causa delle sue inchieste
“scomode”, anche intercettazioni illegali ed intromissioni sui suoi computer.
Il suo gruppo editoriale ha clamorosamente annunciato uno stato di crisi,
dovuta alla forte diminuzione delle risorse pubblicitarie e alla difficile
transizione verso la crossmedialità digitale. In ballo ci sarebbe anche la
riduzione di 800 posti di lavoro, tra esuberi e prepensionamenti. A questa
manovra rigorista e ottusa le organizzazioni sindacali hanno già scelto di
rispondere unitariamente, programmando anche 10 giorni di sciopero e avanzando
proposte alternative. Ecco, quindi, la lucida analisi di Mucchetti sulla situazione
più generale di tutto il settore. Qual è la tua analisi di questa crisi della
stampa? Deriva solo dalla mancanza di risorse o anche da legislazioni che non
facilitano la libera concorrenza?«Oggi l’emergenza è data dalla recessione che
inaridisce la fonte dei ricavi pubblicitari, per la stampa, per la televisione,
per la radio. L’unico soggetto in forte crescita è Google. La sua offerta
pubblicitaria, con il programma AdWords, risulta ottima per gli utenti e assai
redditizia per il motore di ricerca. Ormai Google è di gran lunga la terza
concessionaria di pubblicità italiana. Ma ha due caratteristiche singolari: non
è sottoposta ad alcuna regola per la tutela della concorrenza; non paga le
imposte in Italia. La recessione colpisce, inoltre, le vendite dei giornali e
frena gli abbonamenti anche alla Pay-tv. Se si esclude SKY Italia, che fa parte
di un Network internazionale, e la sullodata Google, l’intera industria della
comunicazione in Italia ha l’acqua alla gola. Paradossalmente, nel prossimo futuro,
l’azienda che potrà vantare la migliore affidabilità sul fronte dei ricavi sarà
la RAI, grazie al canone, il cui gettito potrebbe essere aumentato attraverso
il recupero della forte evasione. Le altre emittenti, da Mediaset a LA7, sono
ormai entrate in una grave crisi: Per non parlare delle TV locali che oggi
ancora in qualche modo reggono, grazie a sussidi di stato. La legislazione
della concorrenza nei settori dei media va dunque ripensata, alla luce delle
politiche industriali, indispensabile per assicurare la concorrenza medesima,
il pluralismo delle culture, e la sopravvivenza e lo sviluppo delle aziende nel
nuovo contesto di un’economia a un tempo travolta dalla recessione e sfidata
dalla rivoluzione tecnologica. Non ha senso riproporre gli schemi dei primi
anni Novanta. Oggi abbiamo dei nuovi monopoli nella Rete, gli OTT, gli Over The
Top.». La Rete è in forte espansione, ma non ancora ci sono proventi
pubblicitari adeguati. I grandi gruppi editoriali sembrano non riuscire a
sfondare in questo nuovo business. Non pensi che Google rischia di diventare un
monopolista nella raccolta pubblicitaria? «I grandi e piccoli gruppi editoriali
e televisivi faticano a fare fatturato pubblicitario sulla Rete e ancor più
arrancano nel proporre contenuti a pagamento. Non è una debolezza italiana, è
una difficoltà che colpisce gli editoridella carta stampa e della
radiotelevisione di tutto il mondo. Google è un luogo dove l’offerta
dell’inserzione pubblicitaria si fa utilizzando contenuti di tutti i generi,
prodotti da terzi, grazie al motore di ricerca, che, avendo raggiunto una
percentuale di utilizzo enorme, grazie alla sua efficienza consegna alla
multinazionale di Mountain View una posizione di fortissimo monopolio. Molto
più forte, per dire, di quello esercitato da Mediaset nella raccolta
televisiva. La strada scelta in Francia dal governo, che ha stretto un accordo
con Google per la creazione di un fondo di 60 milioni di euro a favore dei new
media, è soltanto l’inizio. Basta fare due conti. Il fatturato di Google in
Italia si avvicina ai 700/800 milioni di euro: non possiamo essere più precisi,
perché la contabilità viene fatta a Dublino. In Francia si stima superi il
miliardo di euro, data la maggiore digitalizzazione del paese. Ma Google non
paga le imposte nemmeno in Francia, ovviamente, e utilizza i diritti d’autore
altrui senza remunerarli. L’accordo francese comporta un onere del 6% e forse
meno sul fatturato: troppo poco per remunerare equamente i diritti d’autore
utilizzati e al tempo stesso l’erario».Tu prevedi grandi sommovimenti di
proprietà nel mondo dei media dopo queste elezioni? «Intanto, Telecom Italia
Media vuole vendere LA7. Ma una crisi radicale come quella in atto non potrà
non avere riflessi sugli assetti proprietari anche di altre imprese editoriali
e televisive. Non dimentichiamo che il Patto di sindacato di RCS/ Mediagroup si avvicina alla scadenza e che
anche Mediaset naviga in cattive acque. In questo contesto economico e
tecnologico, la legge Gasparri, che nella sostanza non tiene conto degli Over
The Top, Google in testa, appare ormai superata. Sarebbe quindi intelligente
che le imprese del settore decidessero i tempi, i modi e le finalità delle
proprie ristrutturazioni nel nuovo contesto normativo che aggiornerà il quadro,
fin qui disegnato dalle legge sull’editoria e dalla Gasparri medesima».Anche
Bersani ha invitato Telecom a non precipitare le decisioni sul LA7, prima delle
elezioni. E Berlusconi ha reagito sostenendo che il leader del PD pressa la
Telecom a prendere tempo, affinchè l’eventuale governo di centrosinistra possa
colpire Mediaset e con ciò valorizzare l’ emittente di Telecom Italia….
«Bersani ha fatto un discorso di puro buon senso. Io stesso
con un intervento sul Messaggero avevo invitato il Cda di Telecom Italia a
rinviare qualsiasi deliberazione sul futuro di Telecom Italia Media a quando si
fosse chiarito il nuovo contesto normativo per i settori delle TLC e delle
comunicazioni in Italia. Quanto a Berlusconi, si può osservare come anche in
questa circostanza il suo punto di riferimento non sia l’interesse del settore
dei media a crescere nel nuovo contesto tecnologico, nonostante la recessione;
ma la difesa di Mediaset all’interno di uno status quo che, come dimostrano gli
stessi bilanci del Biscione, non è più in grado di assicurare l’ antica
prosperità della TV commerciale italiana. Fosse vero, e non lo è, che il
governo di centrosinistra favorirebbe LA7, non si capirebbe perché la Telecom
debba anticipare la vendita, come le suggerisce oggi Berlusconi». p.c.m.s.r.d.g.