sabato 23 giugno 2012

VELTRONI: «C'È CHI MIRA
A INDEBOLIRE IL QUIRINALE»

«C’è una campagna per indebolire il Quirinale», dice Walter Veltroni in questa intervista a l’Unità. Sulla trattativa Stato-mafia bisogna cercare la verità. Commissione d’inchiesta? «Un modo per fermare l’Antimafia».Il presidente Napolitano dice « stop a una campagna di illazioni basata sul nulla». Ma le telefonate tra l’ex ministro Nicola Mancino e il consigliere giuridico del Quirinale Loris D’Ambrosio ci sono. Onorevole Veltroni, devono essere chiarite?
«Certo, ma occorre distinguere. La campagna attivata in questi giorni è di tipo politico e ha come obiettivo il Presidente della Repubblica e l’indebolimento del suo ruolo di garanzia per favorire esiti avventurosi della crisi italiana. Qualcuno sta cercando di accentuare gli elementi di instabilità all’interno di una logica che Gramsci avrebbe chiamato di avvelenamento dei pozzi. Altra cosa è la legittima indagine della magistratura per scoprire tutta la verità su uno dei momenti più drammatici del nostro passato». È normale che il consigliere giuridico del Quirinale parli con persona informata sui fatti, cioè Mancino, della vicenda di cui è testimone? «Non ho avuto impressione che D’Ambrosio entrasse nel merito della vicenda di quegli anni. Se non con alcuni riferimenti circa la stranezza del suicidio di Antonino Gioè (uno dei killer delle stragi, ndr) in carcere. Il punto è un altro. Conosco questo Paese. Ogni tanto si alzano polveroni per evitare che si arrivi al nocciolo dei problemi. La richiesta di una commissione d’inchiesta su questa vicenda vuole solo impedire che la commissione Antimafia, da quattro anni al lavoro sugli stessi temi, concluda il suo lavoro. Delegittimarla a un passo dalla relazione finale». Annullare chi vuole avvelenare i pozzi. Come? «Stando sul punto. A me interessa tutta la verità sulle stragi ’92-93. E tutta la verità passa anche dalla richiesta in commissione di nuove audizioni di Conso e Mancino. Ma dobbiamo sentire anche Gaspare Spatuzza ( il pentito che dopo sedici anni ha messo a nudo le bugie sulla strage di via D’Amelio, ndr) e il generale del Ros Subranni (indagato a Palermo per la trattativa, ndr). La commissione Antimafia non deve fare un’inchiesta giudiziaria ma ricostruire quel momento politico lasciando alla magistratura (indagano sui misteri del biennio tre procure, Palermo, Caltanissetta e Firenze, ndr) il compito di arrivare alla verità giudiziaria. È chiaro che nessun ostacolo va frapposto al lavoro della magistratura e a quello della commissione». C’è il rischio che quel biennio resti agli atti come l’ultimo mistero d’Italia? «Il rischio c’è visto che i misteri d’Italia sono il buco nero di questo Paese. È l’unico Paese europeo in cui c’è stato un tale succedersi di eventi non chiariti, zone oscure e depistaggi clamorosi. Dal caso Mattei in avanti. E quando penso alle stragi del biennio ’92-93 non posso non pensare al depistaggio di Scarantino, a quello del questore La Barbera (capo del pool di investigatori che indagava, ndr) che tornerà anni dopo anche dietro il sanguinoso blitz alla scuola Diaz nei giorni del G8 genovese. Andando indietro, al generale Subranni sospettato di aver guidato i depistaggi dopo l’omicidio Impastato. Coincidono, queste azioni, con passaggi cruciali nella vita del Paese. Nel biennio ’92-93 cambia la nostra storia politica. E come in tutte le fasi di transizione - nel ’68-69 con piazza fontana, prima ancora col Piano Solo e poi con il governo di unità nazionale e il rapimento Moro - succede qualcosa di sanguinoso. Le organizzazioni criminali in questi momenti di passaggio diventano parte della strategia terroristico-mafiosa volta a cambiare gli equilibri del Paese».Entrati in questa logica, capire la o le trattative è fondamentale per dare un nome a chi ha ucciso Borsellino? Se dietro il tritolo di via D’Amelio ci sono anche i servizi segreti? «Sì, ma bisogna chiedersi anche perché è stato ucciso Falcone, perché l’attentato all’Addaura. Soprattutto, perché sono cominciate le stragi e perché sono finite. La risposta chiama in causa certamente la trattativa ma anche una ricostruzione un po’ meno schematica di quello che è successo in quegli anni. Falcone, ad esempio, poteva essere ucciso in modi diversi, a Roma, per strada. Invece Riina richiama i suoi e decide per la dimensione terroristica della strage. La mafia, a parte Ciaculli e Portella della Ginestra, aveva fatto tanti assassinii ma mai stragi. Allora, perché Falcone? E perché Falcone, dopo l’Addaura, indica l’azione di “menti raffinatissime”?». Perché un falso colpevole come Scarantino trascina la magistratura fino al giudizio definitivo salvo poi scoprire, grazie a Spatuzza, che era tutto falso? «Perché un pezzo dello Stato ha lavorato contro lo Stato. C'è stato un “antistato” che ha lavorato fin dall’inizio, probabilmente l’Addaura, per depistare. L’Italia ha sempre dovuto combattere contro un grumo di cose nascoste che di volta in volta ha utilizzato agenzie di varia natura per fare operazioni. Perché la banda della Magliana spara al presidente del banco Ambrosiano? Perché spara a Mino Pecorelli? Vengono chiamati da qualcuno per un altro tipo di lavoro. Questo qualcuno è “l’entità” di cui ha parlato tante volte il procuratore antimafia Piero Grasso. Per me è identificabile con l’antistato. Lo chiamo cosi perché per me lo Stato è Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, Ninni Cassarà, Rocco Chinnici». Chi è l’antistato? «Negli anni ha assunto la forma della P2, del terrorismo di destra, della deviazioni di Gladio. È un’entità che reagisce cercando di ricostruire equilibri di potere preesistenti quando questi vengono scossi». Perché nel 1994 finiscono le stragi? «Finiti Andreotti e la Dc dei Salvo e di Lima, la mafia era alla ricerca di un nuovo referente politico. Le stragi finiscono probabilmente quando quel referente viene trovato». Oggi siamo in una fase di passaggio simile al biennio ’92-93? «Assolutamente sì. E l’attacco al Capo dello Stato rientra in questa antica e carsica strategia. Così come ci rientra l’irresponsabile tentativo di trascinare l’Italia in elezioni anticipate cercando di far leva sullo scontento sociale e assumendo posizioni populiste come “usciamo dall’euro” e “torniamo alla lira”». Quello che sta dicendo Berlusconi? «Infatti. Non contento di quello che ha già fatto a questo paese, viste le difficoltà nel suo partito, vuol fare saltare tutto colpendo Monti e portando lo scontro all' esasperazione. Fare questo è da irresponsabili. Tipico di chi, appunto,vuole avvelenare i pozzi».                                                  

                                                                                                              c.p.m.r.d.s.
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