sabato 19 novembre 2011

ECCO PERCHÉ I LEADER DEL PDL HANNO «IMBAVAGLIATO» BERLUSCONI

 «Hanno imbavagliato il Cav». Giuliano Ferrara mette on line la sua disapprovazione per la «non classe dirigente» fatta di «berluscones in fuga da ogni residua responsabilità». È successo che, nella riunione del gruppo giovedì, Berlusconi ha annunciato ai deputati che avrebbe preso la parola in aula. Dopo aver tuonato che il governo Monti è una sospensione della democrazia, che l’hanno subìto obtorto collo, che erano pronti a staccargli la spina, che la campagna elettorale a loro insaputa era cominciata, che bisognava prepararsi al voto primaverile. Nella notte, forse, ha scritto il discorso per l’emiciclo di Montecitorio. Ma non lo ha mai letto. Lo ha passato, come faceva con i compiti a scuola. Ieri mattina l’ex premier era assente al discorso del suo successore (salvo riprendersi la scena con spettacolari strette di mano). A Montecitorio ha preso la parola il più soporifero Alfano, per assicurare morbidamente fiducia, senso di responsabilità, appoggio al governo di tregua. retromarcia notturna Alla spiegazione ufficiale, quella per cui parlavano i segretari Bersani e Alfano (però Casini si è ben guardato dal delegare Cesa) non credono nemmeno i diretti interessati. Il “giallo” sta tutto nella spaccatura, ormai arrivata a livello di guardia, tra falchi e colombe nel Pdl. A convincere il Cavaliere al mesto passo indietro sono state necessarie la moral suasion di Letta, fuori dal tecno-governo ma gran pontiere omaggiato da Supermario, la diplomazia di Frattini e il pragmatismo di Scajola. Ma a farlo ragionare ci si è messo lo stesso Alfano: senza un punto di equilibrio la maionese impazzisce e «qui salta tutto». Contro i bellicosi auspici di Ferrara, di Giornale e Libero, di Daniela Santanchè che ancora ieri strigliava i malcapitati parlamentari: «Questi qui li avete voluti voi, era meglio votare». Contro i non pochi “pretoriani”, da Landolfi a Deborah Bergamini, secondo cui il 45% degli elettori azzurri non apprezza il «governo dei nominati». «Guarda Silvio, non si è mai visto un presidente del consiglio che vota a favore di chi gli ha tolto la poltrona. E poi, per Angelino sarebbe una delegittimazione» hanno insistito. Alla fine, il neo «imprenditore del partito» si rassegna. Insistere sulla linea dura avrebbe strozzato “Angelino” nella culla e sottoposto il Pdl a fibrillazioni devastanti. Commenta infatti Scajola, il cui gruppo in aula si è distinto nell’applausometro a Monti: «Il gesto di Berlusconi è stato fondamentale. Anche per trattenere i più esagitati di noi». Anche il dc Rotondi, assente al voto con Martino, ha reso merito al “Cavaliere muto”: «Ho apprezzato il passo indietro. È servito a valorizzare Alfano ed è stato segnale di grande discontinuità. La mia assenza è stata una mediazione: il no sarebbe stato un pessimo esordio e uno sgarbo a Berlusconi e Alfano». Così, l’inquilino di Palazzo Grazioli si è adeguato: noi staccare la spina? Mai sognato. Del resto, Monti ha chiesto con garbo di rinnovare almeno l’abusata metafora clinica. A Berlusconi è rimasta la campagna elettorale, per ora sospesa insieme alla democrazia: web-tv di partito, gazebo capillari, nuovi organismi interni. Sono già partiti per le case di milioni di italiani gli opuscoli che magnificano l’attività dell’ex governo. Tra pasdaran e colleghi dai più miti consigli la disparità di vedute è totale. Prossimo round la manifestazione: Berlusconi la considera un’opzione (anche se non ha ancora fatto ordine sui progetti), Alfano, Scajola, Letta e diversi altri no. La decisione finale si annuncia cruenta. Sullo sfondo, una partita delicata e di lungo termine. L’Opa che il Pdl vorrebbe, se le condizioni lo consentiranno, lanciare sul neo premier e sulla sua squadra. Lo ha fatto capire Alfano in aula: «Fiducia verso Monti, che ha ricevuto pubbliche congratulazioni anche dai vertici di partito e gruppo Ppe a testimonianza della sua collocazione culturale nell’ambito delle grandi famiglie politiche europee». Lo ha ventilato Berlusconi tendendo le braccia a Casini, Fini, al Vaticano. Lo dicono in molti sottovoce: «Monti fa parte della nostra famiglia, non lo lasceremo alla sinistra senza combattere». È l’operazione Scajola verso il grande Partito dei Moderati. È il tentativo a cui lavorano, separatamente, Cicchitto e Gianni Letta. Mentre Casini, oggetto di molti desideri, guarda e aspetta.                                                    p.s.m.c.
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