domenica 5 febbraio 2012

TRISTE IL PAESE CHE NON CREDE NEL WEB

 Cresci Italia o cresci web? Tra gli slogan lanciati da Monti (salva, cresci, semplifica) uno brilla per assenza. Nessuno infatti riguarda il futuro digitale del Paese. E anche quando appaiono, i riferimenti a Internet sono così generici e a piccole dosi da ricordare più una ricetta omeopatica che un piano di sviluppo. Eppure il contributo della Rete all’economia di un Paese non è secondario: in Inghilterra rappresenta il 7% del Pil, in Italia il 2% (dati 2010). In mezzo, per intenderci, c’è una differenza per noi pari a 100 miliardi di euro l’anno, più o meno a quanto ammonta la nostra evasione fiscale. Il Boston Consulting Group ha di recente calcolato che l'industria digitale italiana potrebbe arrivare al 4% del Pil nel 2015. Potrebbe. Perché per arrivare da quelle parti bisogna avere progetti chiari e idee lucide, pena il rischio che il futuro digitale affoghi nelle acque agitate della crisi. Sarebbe un suicidio. È opinione diffusa, ormai, che puntare su Internet non sia più un atto di fede ma un'esigenza economica. Perché riduce i costi, fa circolare le idee e aiuta a creare nuove aziende e dunque nuovi posti. Nei Paesi che rappresentano il 70% dell'economia mondiale (G8, Svezia, Corea del Nord e le “lettere” dei famosi Bric: Brasile, India e Cina) Internet ha prodotto nel 2009 la bellezza di 1376 miliardi di dollari; solo in Italia nel 2010 ha superato i 30 miliardi di euro. E non è un caso che la Finlandia, Paese ad altissima crescita tecnologica, abbia modificato la Costituzione per definire Internet “diritto universale di tutti i cittadini”. Ragioni sociali e politiche, certo. Ma anche squisitamente economiche se è vero, come ha detto la commissaria Ue Neelie Kroes che«l’innovazione e la cultura digitale sono la base su cui costruire il futuro della nostra società».Anche per questo sorprende come i ministri del governo, premier compreso, insistano con ostinata regolarità su un argomento “vecchio” come l’articolo 18 tralasciando di intervenire, con altrettanta insistenza e puntualità, su temi assai più moderni come Internet e la nuova economia digitale. Col risultato di trasformare il dibattito politico, non in una discussione su come costruire il futuro, ma in una guerra di posizione tra favorevoli e contrari. Non è così che si unisce ilPaese.Enonècosìchecisi allontana dal famoso baratro. Anziché parlare di licenziamenti, non sarebbe più interessante discutere di come creare nuovi posti? Non sarebbe più costruttivo capire come aiutare i giovani a lanciarsi in nuovi business digitali? Non sarebbe meglio facilitare la nascita e la crescita delle famose start-up, piccole aziende dalle grandi idee? La scorsa settimana Monti ha spiegato che anche l’Italia si doterà di un’Agenda digitale, un percorso ragionato e coordinato per portare economia e società nel nuovo universo Internet. È una buona notizia, peccato che l’annuncio per il momento è solo questo arrivi con anni di ritardo e che l’Italia sia l’unico Paese in Europa a non averlo ancora fatto. Il risultato è che il 46% degli italiani non usa Internet e duemila Comuni avete letto bene, uno su quattro non è raggiunto dalla Rete. E non è finita. Esiste un indice chiamato “networked readiness” che misura la propensione a sfruttare le possibilità offerte dalla rete; ebbene, secondo una classifica stilata lo scorso anno dal World economic forum, l'Italia è scivolata al 51esimo, perdendo 13 posizioni in cinque anni. Non solo sfruttiamo poco Internet, ma lo facciamo sempre meno. Tra i piani di Monti, Internet fa capolino durante la terza fase, quella del “semplifica Italia”, comparendo a proposito degli snellimenti burocratici per rendere più efficiente e meno costosa la macchina del Paese. Principio nobile e apprezzato, ma che rivela una visione forse un po’ antiquata. Internet non è solo uno strumento utile, comodo e “creatore di risparmi”: è anche il mezzo più efficace per far crescere l'economia nazionale. Forse era proprio lì, nel “cresci Italia” che andava inserito. Magari indicando quei passi, minimi ma necessari, per rimettere il Paese lungo una carreggiata digitale. Qualche esempio? Dare una connessione minima a tutti i cittadini: non i 30 megabit indicati dall'Europa per il 2015, ma almeno uno o due per leggere le mail e navigare); ridurre il divario nord-sud e coprendo i buchi e neri che ancora esistono in Meridione (soprattutto Molise e Basilicata); sbloccare gli 800 milioni di euro per la banda larga “spariti” durante il governo Berlusconi; reinvestire quel miliardo in più emerso a sorpresa dall'asta per le frequenze da dedicare alla connessione Internet sui cellulari (i famosi smartphone). Ultima considerazione. L'agricoltura rappresenta oggi il 2,36% del Pil: è una voce importante della nostra economia tanto che accanto a Monti siede un ministro con l'incarico di occuparsi solo di tali questioni. Forse non è ancora il caso di creare un ministero per la Rete, ma certo è curioso che un settore che potrebbe arrivare al 4% del Pil nel giro di tre anni sia ancora senza un progetto e senza una casa. «Meno cabernet, più Internet», dice una battuta che gira da tempo in rete.Senza rinunciare al glorioso vino il messaggio è chiaro. Ed è arrivato il momento di pensarci.
                                                                                              r.m.c.p.s.d.
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