PRANDELLI, LA FORZA DI ESSERE NORMALI
di Sergio Conti
La forza di Balotelli, certo. Il genio di Pirlo,
sicuramente. La forza di De Rossi, ci mancherebbe. Le parate di Buffon,
ovviamente. Eppure, dietro a quest’Italia che vince, piace, (ri)fa innamorare
una nazione intera e ora sfiderà la Spagna, c’ è soprattutto la faccia di un
uomo normale. Cesare Prandelli ha il sorriso del perfetto padre di famiglia. La
voce calma e rassicurante che non deraglia mai in frasi fuori posto. L’ elogio
della normalità, si direbbe. Laddove la normalità, nel suo lavoro di
allenatore, è stata qualla di premiare i meriti dell’oggi e non guardare ai
nomi o ai retaggi del passato. Ha portato in Nazionale giocatori che aveva
messo ai margini quando li allenava nei club. Allroa credevo fosse giusto,
forse ho sbagliato, oggi meriti di essere qui e ci sei, chissenefrega di quello
che è stato. Ha raccolto le macerie di una nazionale distrutta da Lippi che,
dopo i fasti di Germania, aveva agito in senso opposto. Dentro nomi e “protetti”,
fuori i meritevoli, clamoroso specchio dell’ Italia che fallisce. Prandelli ha
capovolto la logica, sfidato gli scettici e ha reso straordinaria la normalità.
Premiare il talento, investire nei giovani, guardare oltre pregiudizi ed
etichette, scegliere giocatori da Firenze, Bologna, Palermo, squadre reduci da
annate mediocri o dal Torino che era in B. Certo, le fondamenta le ha messe
salde e consolidate (Buffon, Pirlo, De Rossi) ma le colonne portanti sono poi
diventati gli esclusi, i reietti, gli ingestibili, gli inallenabili. Cassano e
Balotelli, oggi fratelli e orgoglio d’ Italia. Chi avrebbe scomesso sul primo
dopo 4 mesi di inattività, un’ operazione al cuore e il rischio di non tornare
più a correre dietro a un pallone? Prandelli non ha avuto dubbi. Sa che Antonio
ha un’ ora nelle gambe, forse meno. “Ma tu vai, fai la differenza e torna” gli
ha sorriso. E Antonio lo ha ripagato. Un gol contro l’Irlanda, la giocata
decisiva contro la Germania. Lampi. Ciò che serviva. Eppoi Mario. Lui in guerra
col mondo, lui incompreso, lui fuori dagli schemi, lui nero e insultato, lui
solo e sempre e semplicemente troppo. Cesare ha preso quel troppo perché troppo
è anche il talento e non ha esitato a mettergli sulle spalle il peso di una
squadra, di una nazione, di un Europeo. Lo ha guardato dritto negli occhi e
gliel’ha detto senza giri di parole. Come un padre al figlio che diventa
grande. Non una sfida, ma un gesto di fiducia. Di responsabilità. Rinnovata
anche quando non andava bene, il gol non arrivava, le occasioni sì, ma i gol no
e allora sarebbe stato facile dire, ok, non importa, avanti un altro. Quanti,
nell’Italia di oggi, avrebbero fatto altrettanto? Se Cesare ha un merito, e il
suo passato lo insegna, è riuscire a fare di tanti individui un gruppo unito. A
Firenze, per 5 nni, ha portato la squadra a risultati che sembravano normali ma
non lo erano. La Fiorentina tra le prime quattro d’Italia e nel gotha d’Europa
era una piacevole intrusa che lui aveva plasmato su di sé e sulla fiducia dei
suoi uomini. Rimasti loro, uscito di scena lui, il campo ha ribaltato certezze
e illusioni. E il gruppo lo si crea mettendoci la faccia. Come alla vigilia
dell’Europeo, lo scandalo calcioscommesse, le perquisizioni, le pressioni, quel
senso di marcio che si infiltrava ovunque. “Se volete, se serve, noi in Polonia
e Ucraina non andiamo” sentenziò. Fermo, deciso, senza esagerazioni. Un titolo
da giornali, certo, ma anche un modo per dire ai suoi, ok, ragazzi, in questa
storia ci siamo dentro tutti insieme, nel bene e nel male e qualunque cosa
accada si va tutti dalla stessa parte.E allora davvero, per una volta, il
calcio che tutto fagocita può davvero portare una lezione al Paese. Scommettere
su normalità, merito, fiducia, integrazione si può. Si deve. Prandelli ha
tracciato un solco profondo. Unico. Lo ha reso semplice e spontaneo. E’ un
patrimonio prezioso, da non sperperare.