sabato 14 gennaio 2012

IL MINISTRO DI PAOLA:«TAGLIARE NON SOLO GLI F-35»

 Dalla contestata acquisizione di 131 F-35 al “rischio-stipendificio” per le nostre Forze Armate: temi spinosi a cui il ministro della Difesa, Giampaolo Di Paola, non si sottrae. E in questa intervista esclusiva a l’Unità, difende e rilancia la sua idea di Difesa. «Attaccando»… Signor ministro, partirei dalla questione al centro da giorni di un vivace dibattito e di aspre polemiche: il programma di acquisizione di 131 F-35. C’è chi la definisce una spesa eccessiva, chi un investimento velleitario, e chi sollecita un ripensamento, quanto meno nel numero dei cacciabombardieri acquistati. Cosa può dirci in proposito? «Noi stiamo rivedendo lo strumento militare. L’ho detto in maniera chiara e inequivocabile, ben prima che iniziasse qualsiasi discussione. Rivedere tutti gli aspetti dello strumento militare e dunque anche i programmi, e quindi i mezzi, e i piani d’investimento. Occorre operare in tal senso innanzitutto perché una revisione d’insieme è doverosa, e poi perché la situazione di compatibilità finanziaria lo impone.Maquesta revisione, è bene ribadirlo, interessa tutti i programmi. Perciò ritengo che l’accanimento verso uno specifico programma sia espressione di visioni anguste, settoriali che nonmi sento di condividere. Sia chiaro: quando parlo di una revisione di tutti i programmiintendo anche quello relativo agli F-35, e in questo quadro generale bisogna tener conto che c’è una esigenza fondamentale...». Quale? «Lo strumento militare italiano ha bisogno di una capacità aereo tattica: questa capacità l’abbiamo e va rinnovata. E dal punto di vista operativo, l’F-35 è la risposta corretta a questa esigenza. Che tipo di configurazione complessiva questo programma debba avere, questo è oggetto della revisione, e siccome la revisione è in corso è inutile che mi si venga a chiedere se si può ridurre di uno, dieci, venti, cento... La Difesa è una cosa seria, così come lo sono i programmi e gli investimenti. Al termine di questa revisione, noi ne motiveremo gli esiti, ma che il programma sia di alta valenza operativa, su questo non ho dubbi. E per un ministro della Difesa, quella operativa è una componente importante. Come lo sono l’alta valenza tecnologica del programma in questione, la valenza industriale e occupazionale. Uno può rinunciare a tutto, pure ad avere una Difesa, però l’argomento va affrontato e gestito seriamente e non piegato a posizioni ideologiche o che magari nascondono interessi di parte». C’è chi sostiene che gli F-35 sono strumenti offensivi, tali da delineare un ruolo dell’Italia che contrasta con la Carta costituzionale e l’articolo 11… «Questa è una visione fortemente ideologizzata che non mi appartiene e che non corrisponde alla realtà. Qualunque armamento è offensivo o difensivo a seconda di come lo usi. Non è che l’F-35 è offensivo, l’Eurofighter è difensivo, il carro armato è offensivo o difensivo. È l’uso che se ne fa che conta. È come noi abbiamo utilizzato, con l’approvazione del Parlamento e delle Nazioni Unite, gli AMX, i Tornado, gli AV-8B. Sì, delle Nazioni Unite, perché le operazioni in Libia e in Afghanistan sono state sancite, legittimate da risoluzioni del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, e in quelle azioni sono stati utilizzati gli aerei a cui ho fatto riferimento. Mezzi che vanno rinnovati, e non vedo perché l’F-35 di per sé sia offensivo. È chiaro che lo strumento militare viene considerato, in quanto militare, in violazione dell’articolo 11 della Costituzione, beh, allora io dico chiudiamo lo strumento militare. Ma lo strumento militare esiste da quando esiste la nostra Costituzione, e il suo articolo 11, il quale, peraltro, andrebbe letto nella sua interezza e non fermandosi alla sua prima riga. E a dirlo non sono io, ma qualcuno ben più autorevole: il presidente Giorgio Napolitano».In una recente intervista a l’Unità, l’ex Capo di Stato Maggiore della Difesa, il generale Vincenzo Camporini, analizzando il bilancio della Difesa ha paventato il rischio che le nostre Forze Armate si trasformino sempre più in uno “stipendificio”. C’è davvero questo rischio? «Vorrei dare una risposta più articolata, il che non significa evadere la sua domanda. Si dice: in Italia spendiamo un sacco di soldi per la Difesa, l’Italia è la decima potenza militare al mondo... Punto primo: l’Italia è la quarta economia dell’Unione Europea, tra le prime dieci economie del mondo, e va da sé che a questa dimensione economica corrispondano nei vari settori bilanci di un certo livello. Però, se si analizzano con onestà e correttezza i dati, la quota parte che l’Italia destina al bilancio della Difesa, è considerevolmente più bassa rispetto al rapporto Difesa/Pil di altri Paesi europei. Alle Forze Armate - Esercito, Marina, Aeronautica - e dunque alla Difesa, il bilancio per l’anno 2012 assegna 13,5 miliardi di euro, lo 0,84 del Pil. Mi permetta di fare alcuni raffronti con alcuni Paesi europei: la Francia destina alla Difesa, l’1,5 del suo Pil; la Germania 1,22%, Gran Bretagna 2,13%, la Svezia 1,3%, Polonia 1,3%. Non sto citando gli Usa... So benissimo che oggi e in futuro a medio termine non avremo un aumento quantitativo del nostro bilancio della Difesa, e non sto qui a dire: datemi l’1,5, l’1,3 come gli altri. Dico solo di essere realisti, e non posso non ribellarmi quando sento dire che spendiamo troppo per la nostra Difesa...». Resta lo «stipendificio»… Indubbiamente si tratta di un grosso problema, non lo nascondo. Il bilancio della Difesa, oggi destina circa due terzi delle risorse al personale. Ma c’è una ragione che lo spiega…». E quale sarebbe questa ragione, signor ministro? «Dieci anni fa, il Parlamento sovrano quando fece la riforma del modello della Difesa, disegnò un modello tutto volontario di una certa dimensione: 190mila uomini. Un sistema di queste dimensioni non si mantiene con le risorse che il Paese ha ritenuto nell’arco di 10 anni di destinare alla Difesa. Perseguendo quei livelli di dimensionamento, inevitabilmente le dinamiche del personale hanno determinato, come in ogni altro Paese del mondo, la crescita delle spese ad esso relative, comprimendo in maniera forte le altre due voci di bilancio, qualitativamente importanti: l’esercizio, vale a dire l’operatività delle Forze Armate - e quindi la formazione, l’addestramento, la manutenzione, l’impiego - e l’ investimento, la parte dedicata ai mezzi, al rinnovamento, al futuro. In questa situazione, non parlerei di rischio ma di realtà: la quota destinata al personale è talmente elevata che non siamo più in grado di mantenere, rendendolo utilizzabile, lo strumento militare nelle attuali dimensioni. Bisogna dunque ricalibrare lo strumento in base alle risorse che il Paese decide liberamente di destinare, il che comporta affrontare con serietà anche il discorso, che spesso produce levate di scudi, di un ridimensionamento degli organici. A questo impegno non mi sottraggo». Un nuovo modello di Difesa non chiede più Europa, in termini di cooperazione integrata e di difesa condivisa? «Direi proprio di sì. Ma anche qui, occorre intenderci ed essere corretti. Sono convinto che l’Italia debba credere e spingere nella direzione di una sempre maggiore integrazione europea, e quello della sicurezza e difesa rappresenta una delle dimensioni fondamentali di questo percorso. D’altro canto, gli stessi partner americani ci incoraggiano in questa direzione, perché si rendono perfettamente conto che una politica europea più integrata rafforza la partnership Usa-Europa nel campo della sicurezza e della difesa. Ma più Europa, però, non vuol dire che l’Italia si sfila dalla Difesa. Più Europa significa che tutti quanti, noi europei, inclusa l’Italia, ci si muova con coerenza e convinzione su un percorso condiviso. Al mio Paese chiedo solo di essere in sintonia con l’operato di Francia, Gran Bretagna, Spagna, Germania, Polonia, Svezia, Olanda. Paesi che stanno lavorando a un disegno di difesa europea operativamente efficace, anche nell’investimento aereo-navale. Di questo disegno, l’Italia può e deve essere parte attiva, avendo la consapevolezza, peraltro, che un Esercito europeo non può prescindere da un Governo europeo».                      m.c.p.s.
Contatore visite gratuitoAggregatore notizie RSSShare

venerdì 13 gennaio 2012

RICCARDO ILLY E IL SALVA ITALIA: «TROPPE TASSE VENDO LA BARCA»

«Non porto la barca in Croazia, però sto cercando di venderla». Lo annuncia oggi su Il Piccolo, l'imprenditore ed ex presidente del Friuli Venezia Giulia, Riccardo Illy, in un'intervista in cui critica alcuni provvedimenti contenuti nel decreto Salva Italia. Smentendo le indiscrezioni su un presunto trasferimento della sua imbarcazione in un porto sloveno o croato («di posti non ce ne sono più»), contro la nuova tassa di stazionamento, Illy sottolinea che «tutte queste iniziative mi hanno disamorato. Avere una barca è un impegno continuo, anche se dà grandi gioie. Se poi si viene anche criminalizzati mi vien da pensare: se non vogliono che la tenga, la vendo». Riguardo alle conseguenze della manovra governativa, l'industriale triestino del caffè ritiene «inevitabile una crescita minore o addirittura un decremento del Pil. Ma al governo va dato atto di aver varato, pur agendo in condizioni di estrema emergenza, misure efficaci e sostenibili, seppur dolorose». Critica tuttavia alcuni provvedimenti, come la tassa sulle imbarcazioni («avrebbero fatto meglio a reintrodurre il vecchio bollo, che fu abolito senza ragione») e l'Imu («era più semplice reintrodurre l'Ici»). Infine, sulle liberalizzazioni, Illy afferma che «era meglio concentrarsi su meno settori, ma più sostanziali. In primis l'energia, che in Italia costa il 30% in più rispetto alla media europea. Serve una liberalizzazione vera, che parta dalla costruzione di nuove reti che siano accessibili a tutti i soggetti, non soltanto alle solite Eni e Snam. Stesso discorso per i servizi di pubblica utilità». Infine, sul lavoro per Illy «è giunta l'ora di rivedere regole che furono scritte quando il posto fisso era una garanzia. Noi non siamo la Danimarca, però il modello della flexicurity danese mi sembra un buon modello da cui prendere ispirazione».                  m.c.p.s.
Contatore visite gratuitoAggregatore notizie RSSShare

giovedì 12 gennaio 2012

LA MAFIA DEL NORD FA PAURA MINACCE AL GIOVANE CRONISTA TIZIAN

Giovanni Tizian, giovane giornalista autore di «Gotica» - Round Robin editrice - sconvolgente libro inchiesta sulle mafie al nord, costretto a vivere sotto scorta perché minacciato dai clan. Giovanni Tizian, scrittore e giornalista precario della Gazzetta di Modena, viene minacciato per il suo lavoro. Ad un mese dall'uscita di Gotica, il libro inchiesta che racconta traffici e ingerenza dei clan sul nord Italia, Tizian si trova di fronte a minacce che rendono necessaria una scorta per la sua tutela. Collaboratore del portale rivistaonline.com e liberainformazione, oggi scrive per il mensile Narcomafie, stopndrangheta.it, linkiesta.it ed è anche membro dell'associazione antimafie daSud. La descrizione di come le mafie abbiano messo radici nel nord Italia, oltre la linea Gotica e fin dentro il cuore produttivo del Paese, è il risultato del lavoro giornalistico svolto da Tizian in questi anni. Figlio di un bancario di Bovalino, in provincia di Reggio Calabria, barbaramente ucciso dalla ‘ndranghe ta il 23 ottobre 1989, emigra con la mamma per sfuggire alla dura realtà del sud. La scelta di fare il cronista nasce proprio dall'esigenza di raccontare la trasformazione della società rispetto alla presenza e allo strapotere delle mafie nel nord. Gotica racconta l'influenza dei clan nella politica e nel sistema produttivo tanto nella verde padania leghista, quanto nel cuore dell'Emilia rossa. Milano, Torino, Genova, Bologna... non c'è luogo oggi in Italia che si possa ritenere libero dal potere criminale dei clan.«Bologna è con te». Lo assicura a Giovanni Tizian, il giovane giornalista di Modena finito sotto scorta per il suo impegno professionale contro le mafie, il sindaco di Bologna, Virginio Merola. «Giovanni Tizian, Bologna è con te», gli manda a dire via Facebook il primo cittadino del capoluogo regionale. "Troviamo incredibile, ma estremamente rivelatore della forza delle organizzazioni criminali nel nostro Paese, che un giornalista precario di 29 anni venga messo sotto scorta per aver fatto inchiesta sulla mafia al Nord, nella civile Emilia Romagna". Lo dichiara Fausto Raciti segretario nazionale dei Giovani Democratici annunciando l'adesione dei GD alla campagna "io mi chiamo Giovanni Tizian". "Oltre alla solidarietà che tutti noi rivolgiamo al giornalista - prosegue Raciti- pensiamo che sia richiesto a tutti un nuovo impegno per spiegare agli italiani che il problema delle mafie non riguarda più, e da tempo, solo il sud. Noi ci saremo."
Contatore visite gratuitoAggregatore notizie RSSShare

mercoledì 11 gennaio 2012

MOTO GP/ ROSSI«DUE ANNI IN DUCATI POI POSSO SMETTERE»

 

di SERGIO CONTI

«Vorrei un nuovo contratto in Ducati, un biennale, magari l'ultimo, e poi pensare a come divertirmi». Valentino Rossi, 33 anni, aprendo la kermesse sulle nevi a Madonna di Campiglio ha di fatto messo le basi per un rinnovo con la casa di Bologna, ma solo se «ci saranno le condizioni per vincere». «Penso che per il 2013 - ha detto Rossi - inizieremo a parlare di contratto durante la stagione perchè bisogna organizzarsi, ma non vorrei farlo troppo presto perchè si rischia di perdere concentrazione sulla stagione in corso, però lo faremo». Se la Ducati andrà bene ci saranno pochi problemi a rinnovare, altrimenti? «Tutti i piloti sono in scadenza di contratto quindi forse si potranno mischiare un po' le carte. A me piacerebbe vincere qualcosa qui, far crescere la Ducati, magari fare un paio d'anni anno e poi smettere».
Contatore visite gratuitoAggregatore notizie RSSShare

martedì 10 gennaio 2012

PIERINO E L’ITALIA DELLE FIRME FALSE

Pierino falsifica la firma del papà in una giustificazione, la professoressa se ne accorge e lo rimprovera aspramente “se tu fossi adulto, per un simile atto potresti andartene in galera”. Il papà avvertito, prende Pierino e lo rifà nuovo a rimproveri.Questo ci aspettiamo no? E invece no. Il papà e la mamma di Pierino, turbati dal turbamento della creatura, sangue del proprio sangue, occhi dei propri occhi e atti dei propri atti, vanno dai Carabinieri e denunciano la professoressa per abuso dei mezzi di correzione. Una querela da 35mila euro richiesti come risarcimento danni. “Perchè mica ci si può permettere di dare del galeotto a un innocente..So ragazzi!!!” E dunque intanto ti querelo e te la faccio pagare in euro la tua mal creanza e acredine e persecuzione nei confronti del mio bambino. Soldi tutti da investire nel futuro e negli studi del povero perseguitato immagino. Ma anche no. Ci sarebbe il secondo bagno da rifare in casa. Mò ti faccio vedere io chi ha ragione. Tutto questo di fronte a un Pierino tra lo stupefatto e il rassicurato con lo sfondo di compagni di classe, di scuola, di città, di regione e di paese, tutti ragazzini seri e compìti però, non si sa mai, se un giorno capita a me di far la marachella papi e mami corrono in questura come ringraziamento per non prenderli a ceffoni quando arrivo a 18 anni. Attenzione: sto semplificando, generalizzando, esagerando. Ma sui fondamentali, perchè poi, sulle sfumature, sui dettagli che fanno poi sostanza, la verità è che nella maggior parte dei casi è difficilissimo che un genitore accetti una critica o un rimbrotto al proprio pargolo, come critica e riflesso alla propria coscienza. Non li separa più. I figli sò pezze e core. Pure quando lanciano petardi in faccia a qualcuno. Il tutto aggravato dal fatto che molti di noi sono convinti che l’unica via per la risoluzione dei conflitti siano la legge, la magistratura, la certezza del diritto. Non la certezza del buon senso e le normali relazioni tra individui di una comunità. Posto che ci fossero i presupposti e gli esiti per denominarlo “conflitto” e che siam giunti al punto che, se non confliggi con qualcuno, non esisti. Il confine chiaro e netto di ciò che si può fare e ciò che non si può fare e che va condannato, sia che si abbiano 12 anni sia che se ne abbiano 96 poi sfuma in mille e infinite declinazioni e deroghe. In ogni ambito e in ogni latitudine, reale o virtuale e dunque il ragazzino, che scemo non è, si adegua. Se tutti sono furbi lo sono pure io. E vabbè, anche qualcuno di noi avrà bigiato a scuola una volta, ma se lo ricorda perchè le prese di santa ragione, non perchè papà salì a bordo della sua 600 beige dirigendosi in questura. E non c’era angolo in cui nascondersi, nè di casa, nè per strada, nè a scuola per non essere additato come un “piccolo criminale”. Non certo l’eroe della furbizia. L’eroe cioè dei tempi nostri. Il confine tra lecito e non lecito negli anni si è via via lacerato, insieme al relativo senso delle proporzioni, insieme alle elementari e autonome leggi del rispetto, non come atto formale ma anche come atto immateriale, spontaneo, di fiducia verso i simili che vivono nella stessa comunità (del genitore verso il docente, del genitore verso il figlio, del figlio verso entrambi) e si disperde nei mille rivoli delle azioni e reazioni: dalla barzelletta minimizzante del “che vuoi che sia tanto lo fanno tutti e tutti sono uguali”o “sono ragazzi, non esageriamo”, quando si è autori di torto, al soccorso della legge come se gli fosse caduto in testa l’apollo 11, tirato contro per provato complotto, quando si è “vittime” del torto. Anche quando pensare di essere nel giusto fosse una solenne e palese cavolata. Efficacia della durezza del rimprovero in campo educativo? Potremmo parlarne per giorni. Il che la dice lunga sull’incertezza in materia che attraversa trasversalmente famiglie e scuole, ma no, che dico, attraversa il paese intero, travalica, supera le nazioni. La trasmissione dell’educazione ha valore quando trasferisce un bagaglio di valori comuni, e quel bagaglio si fa comunità. Oggi non è più così. E’ così leggera e particolare da evaporare. Il bagaglio di valori che si trasferisce vale solo per la propria tribù. Per il mononucleo familiare. Tutto è garantito e ordinato dentro quel nucleo, fuori invece fischia il vento e urla la bufera, gli altri sono lupi e noi in lupi dobbiamo trasformarci. Anche a scapito della stessa legge che poi cerchiamo in soccorso quando ci arriva, puntuale, il presunto torto. Il ragazzo non fa altro che imitare. Imita. Imita i comportamenti dei genitori, dei compagni, imita i comportamenti televisivi, quando assiste per ore e ore a quei comportamenti. E metabolizza. Osserva, si nutre di ciò che vede e vie e ne ripete le azioni e le reazioni.Per questa volta il gip ha archiviato il caso, com’era logico fosse, per evidente assenza di reato. Ma pensate a tutte le volte in cui questi atti, questi alterchi, queste contrapposizioni educative si verificano nella vita di un bambino e di un adolescente che cresce? E pensate chi archivia l’angoscia e lo sbigottimento di quell’insegnante.Non credo che nessuno dei tre contendenti sia cresciuto da questa “esperienza”: docente, genitori e adolescente. Ha vinto solo la divisione. Sempre più profonda.Poi ci chiediamo “come mai questi ragazzi non hanno più valori?”. Poi ci stupiamo quando leggiamo nelle statistiche che i ragazzi “esigono durezza e univocità nel punire le azioni non concesse” in uno di quei barlumi di lucidità che li contraddistinguono.Vogliono UNA via. Chiara e coerente.Il vero problema è la frantumazione di quello che era bagaglio unico di quei valori e da non mettere mai in discussione in mille e frantumati “beauty case” alla bisogna di azioni estemporanee. Ciascuno per famiglia. A volte ancora più frantumato: mezzo “beauty case” a mamma e mezzo a papà, e poi si ci mette anche il nonno paterno e la nonna materna. E anche il fratello maggiore. E, se possibile, la vicina di casa. C’è un paese in Europa dove hanno sentito il bisogno di scriverlo nella Costituzione: che la scuola rafforza e promuove, insieme alla conoscenza e alle competenze, il sistema di valori condiviso di quella nazione. Dovesse esserci nella nostra Costituzione, una tale indicazione, ci metteremmo le mani ai capelli. Perché quel sistema di valori condiviso non c’è più e con esso non ci sono più l’idea di comunità, l’idea di beni comuni, l’idea di Stato. C’è la famiglia. Certo. Ma non basta. C’è la Magistratura. Certo. Ma non basta. Perché piano piano Pierino cresce e falsificherà anche quelle. Però c’è anche la Scuola, dico io. C’è quella Professoressa che il rimprovero aspro e duro di fronte al falso deve per forza di cose calibrarlo verso l’alto per supplire l’assenza quasi totale di rimproveri altrove. Fa bene. Ma non basta. Perchè può sbagliare anche lei. Può fare troppo. Come nel caso di quella che fece scrivere a Pierino cento volte “sono un deficiente” e là, sì, la condanna se l’è presa: due mesi tondi tondi con 20mila euro di danni da pagare. E allora ci si potrebbe arrendere e dire: sbrigatevela voi, ha ragione lei signora mamma, o ha ragione lei signora vicina di casa, che Pierino salti sul banco e si metta a ballare la quadriglia con Cetty, Sarah e Martina, se tale gesto libera la sua creatività. Ma non lo fanno, la maggior parte delle Professoresse non lo fanno e infatti oltre alle corde vocali (malattia professionale) si spappolano intestini e anche cervelli. Perchè ad ogni aspro rimprovero corrispondono una buona dose di “nervi” sedati e messi a dura prova. Una, due, tre, quattro, migliaia, milioni di volte moltiplicati per anni e per Pierini. Che non crescono mai perchè si sostituiscono. E in genere stanno là fuori dalla porta, come nell’immagine che ho scelto a corredo di questa nota, soli e carichi di dubbi. Perchè non capiscono noi e noi, così facendo, capiamo sempre meno loro, che vogliono solo chiarezza e coerenza. Oltre che affetto. E ogni anno è peggio. Il vero problema è che a Pierino non serve avere una varietà di “beauty case” che gli mettiamo nello zaino già pesantissimo delle sue giornate da acchiappare alla bisogna. Ne serve solo uno, leggero e facile: che ritorniamo a metterci d’accordo. Sui fondamentali. Le firme non si falsificano. Punto. E così il resto. Se davvero serve cambiar la Costituzione allora sì, dovrebbe inserirsi l’articolo sui valori condivisi. Che valgano, in blocco e sempre gli stessi, non solo tra i corridoi e i banchi delle scuole, dove il tempo si è fermato (spesso è un male, ma per la “questione valori” è un vivaddio) a cento anni fa, ma anche per la mamma, per il papà, per il nonno materno e la nonna paterna, per il fratello maggiore e financo per la vicina di casa.                                          m.c.p.s.
Contatore visite gratuitoAggregatore notizie RSSShare
MOSCA, SCOPPIO IN RISTORANTE ITALIANO DUE MORTI E ALMENO 39 FERITI

 

Un'esplosione in un ristorante italiano di Mosca ha provocato un violento incendio, riferisce l'agenzia Interfax, ipotizzando lo scoppio di alcune bombole di gas nella cucina del locale, che si trova al numero 38 di via Novocheriomushkinski, nel sud-ovest della capitale russa. Si aggrava il bilancio dell'esplosione: due morti e 39 i feriti. Lo hanno reso noto fonti del ministero dell'Intero russo citate dall'ageenzia Interfax. Dalle prime ricostruzioni all'origine dell'incidente, che ha provocato un incendio e il parziale crollo dell'edificio, ci sarebbe l'esplosione di alcune bombole di gas. I due morti erano dipendenti del locale. I ferimenti sono stati causati per lo più dalle schegge di vetro scagliate dalla deflagrazione. Funzionari del ministero delle Emergenze russo hanno subito raggiunto il ristorante. Le fiamme, che hanno investito un'area di 300 metri quadrati, sono state domate. Il ristorante si chiama «il pittore» (e non Elvidora come si era appreso inizialmente). Le vittime sono due donne (le generalità sono ancora sconosciute) che lavoravano nella cucina del locale, dove sarebbe scoppiata una bombola di gas che alimentava i fornelli. Al momento dell'incidente, verificatosi nell'ultimo giorno del lungo ponte delle festività russe, c'era un centinaio di clienti. Il botto, che ha mandato in frantumi i vetri di tutte le finestre, è stato «molto forte», come ha riferita una vicina, Olga Deneza, alla Tv Mosca 24, che ha trasmesso le prime immagini della tragedia. Le fiamme sono state domate da numerose squadre dei vigili del fuoco. Il ristorante-enoteca, aperto da una decina d'anni, si trovava in un edificio in mattoni rossi e aveva due piani, con quattro sale (una per banchetti) per un totale di 300 posti e un angolo giochi per bambini. Sulle pareti immagini di Venezia. Lo scoppio, molto violento, ha rotto tutti i vetri del locale e anche il tetto è parzialmente crollato. L'incendio, riferiscono i soccorritori, da una superficie iniziale di 15 metri si è esteso a quasi trecento metri quadrati. Non ci sarebbero italiani coinvolti nell'esplosione di un ristorante italiano di Mosca. La Farnesina sta verificando la presenza di connazionali nel locale dove è avvenuto lo scoppio.                               p.c.m.s.
Contatore visite gratuitoAggregatore notizie RSSShare
 

sabato 24 dicembre 2011

L'ALTRAREPUBBLICA AUGURA BUON NATALE E FELICE 2012 !!!
GLI AGGIORNAMENTI DEL SITO E LA PUBBLICAZIONE DEI COMMENTI RIPRENDERANNO MARTEDI’ 10 GENNAIO
Contatore visite gratuitoAggregatore notizie RSSShare

giovedì 22 dicembre 2011

BENEVENTO, 14 RINVII A GIUDIZIO TRA LORO, MASTELLA E LA MOGLIE

A Tutti i 14 indagati nell' inchiesta per l'apertura del Centro Commerciale «I Sanniti» a Benevento, tra cui l'imprenditore Maurizio Zamparini, presidente del Palermo calcio, e i coniugi Clemente Mastella e Sandra Lonardo, sono stati rinviati a giudizio dal Gup Flavio Cusani, che ha accolto la richiesta avanzata dal sostituto procuratore, Antonio Clemente. Oltre ai coniugi Mastella e Zamparini, sono stati rinviati a giudizio Aldo Damiano, Rosa De Santis, Francesco Cassano, Mario De Lorenzo, Giuseppe Iadicicco, Luigi Giuliano, Vincenzo Zagarese, Paolo D'Arco, Antonio Orlacchio, Erbert Rosenwirth e Giovanni Mirabella, molti dei quali amminsitratori o funzionari del comune di Benevento. La prima udienza del processo è stata fissata al prossimo 18 aprile. I coniugi Mastella sono coinvolti nell'inchiesta per un contributo di 50mila euro che Zamparini avrebbe elargito all' Associazione onlus Iside Nova - di cui la ex presidente del consiglio regionale Lonardo era socio - che per anni ha organizzato nel capoluogo sannita la manifestazione «Quattro notti e.più di luna piena». «Rispettiamo la decisione che oggi è stata assunta dal Gup di Benevento, pur non condividendola - ha detto uno dei legali dei coniugi Mastella, Domenico Russo - Ci difenderemo con assoluta serenità nell'ambito del processo e con pieno rispetto e fiducia nei magistrati giudicanti del Tribunale di Benevento. Sono assolutamente certo che, alla fine del processo, i miei assistiti, Clemente Mastella e Sandra Lonardo, riusciranno a dimostrare la loro piena innocenza». «Un ex ministro della Giustizia ha il dovere di rispettare qualsiasi giudizio che lo riguarda, ma in questo caso, prendendomi una licenza, lo ritengo illogico ed inverosimile», ha detto Mastella. «Dire che sia un fulmine a ciel sereno -dice Mastella - significherebbe da parte mia dire una bugia. Confermo invece sia per me che per mia moglie, che non abbiamo mai messo in tasca un euro, di non aver mai chiesto un euro a nessuno e di esserci sempre mossi nell'ambito della legalità. Mentre auguro a tutti un felice Natale, rivolgendomi ai cittadini e ai miei elettori, parlando anche a nome di mia moglie, voglio dire che questa insensata vicenda non scalfisce nè la nostra dignità, nè la nostra credibilità. A questo punto - continua l'ex Guardasigilli - auspico solo un giudizio rapido, severo e sereno dove i magistrati, nel processo, potranno valutare assurdità, negligenze, criteri valutativi diversi tra figli e figliastri e tante altre anomalie.» «Certo, essere accusati tra l'altro di aver fatto pressioni indebite su dipendenti pubblici del Comune di Benevento che neppure conosco - ah concluso - lascia l'amaro in bocca. Peraltro davanti al giudice ho dichiarato, e lo farò anche nel processo, che laddove avessi perpetrato una simile azione mi sarei dimesso da Parlamentare Europeo. E questo lo confermo».
Contatore visite gratuitoAggregatore notizie RSSShare
CALCIO/DONI, OSTI, SANTONI, TABULATI CHE FANNO TREMARE L'ATALANTA


Si allungano le ombre dell'inchiesta «Last Bet» sull'Atalanta. Oltre al coinvolgimento dell'ex capitano nerazzurro Cristiano Doni, arrestato lunedì scorso, emergono nuovi dettagli che potrebbero rafforzare l'assunto della procura cremonese, secondo cui il calciatore avrebbe agito nelle «combine» in qualche modo anche per conto della squadra o di alcuni dirigenti. È bene precisare che siamo ancora nell’ambito delle ipotesi investigative: in quest'ottica, suggeriscono alcuni investigatori, andrebbe letto il tabulato telefonico raccolto dalla squadra interforze del ministero dell'Interno che indaga sul fenomeno del calcioscommesse in Italia. Ci sarebbe un allegato, infatti, nel quale vengo raggruppate tutte le telefonate fatte da Ljubija Dunderski, giocatore dell’Atalanta dal 1997 al 2001, ad utenze riconducibili a Cristiano Doni, all'ex direttore sportivo dei nerazzurri di Bergamo, Carlo Osti, ora dirigente del Lecce, e ad altri nomi che spuntano nelle carte dell'indagine del procuratore cremonese Roberto Di Martino. L'ipotesi che l'ex calciatore serbo fosse un membro del cosiddetto gruppo degli «zingari», ovvero il fronte slavo della presunta organizzazione dedita alla manipolazione delle scommesse, sembra però ancora da verificare con certezza.Fino a ieri non era ancora chiaro se nelle telefonate si parlasse di scommesse o di affari riconducibili alle giocate. Gli stessi investigatori si dicono cauti: «al momento non possiamo definire Dunderski un membro dell'organizzazione». D'altra parte, i tre, Doni, Osti e lo sportivo serbo, avrebbero potuto tenere dei contatti semplicemente per il loro trascorso nella squadra bergamasca. Poi, però, ci sarebbero i contatti con altri presunti appartenenti all’organizzazione.È chiaro, quindi, che tra Cremona, Napoli, Bari, il fronte delle inchieste sulle partite di calcio combinate si allarga. Sono almeno ventidue i match della massima serie giocati l’anno scorso e ora finiti sotto osservazione. A questi si aggiungono numerose altre partite di serie B e Lega Pro. Le indagini vanno avanti e potrebbero restituire nuovi sviluppi. Attualmente sono almeno tre le procure che hanno focalizzato la loro attenzione sul fenomeno internazionale delle combine. Addirittura a Napoli e a Bari si punta a svelare i possibili legami con la criminalità organizzata. Interrogatori. A Cremona anche ieri è stato un giorno di interrogatori. Davanti al gip Guido Salvini si è presentato Nicola Santoni, ex preparatore sportivo del Ravenna Calcio. Per lui l’accusa formulata dal procuratore Di Martino è di aver fatto da «tramite stabile tra Doni, col quale comunicava in continuazione, e la restante parte dell’organizzazione in ordine alla manipolazione delle partite dell'Atalanta».A questo proposito Santoni avrebbe parlato delle sue responsabilità nella combine di Atalanta-Piacenza, partita del 19 marzo 2011 vinta dai nerazzurri, raccontando di aver corrotto i giocatori del Piacenza perché perdessero l'incontro ma senza fare cenno a un presunto coinvolgimento della società orobica o dell’amico Doni. Santoni avrebbe anche ammesso di aver incontrato lo stesso giorno del match un altro ex calciatore, e indagato come presunto membro del gruppo degli scommettitori, Gianfranco Parlato. I due si sono visti al casello autostradale di Parma, dove Santoni avrebbe dato a Parlato circa trentamila euro, forse frutto della vincita della «combine». Fino a ieri non era ancora chiaro se nelle telefonate si parlasse di scommesse o di affari riconducibili alle giocate. Gli stessi investigatori si dicono cauti: «al momento non possiamo definire Dunderski un membro dell'organizzazione». D'altra parte, i tre, Doni, Osti e lo sportivo serbo, avrebbero potuto tenere dei contatti semplicemente per il loro trascorso nella squadra bergamasca. Poi, però, ci sarebbero i contatti con altri presunti appartenenti all’organizzazione.È chiaro, quindi, che tra Cremona, Napoli, Bari, il fronte delle inchieste sulle partite di calcio combinate si allarga. Sono almeno ventidue i match della massima serie giocati l’anno scorso e ora finiti sotto osservazione. A questi si aggiungono numerose altre partite di serie B e Lega Pro. Le indagini vanno avanti e potrebbero restituire nuovi sviluppi. Attualmente sono almeno tre le procure che hanno focalizzato la loro attenzione sul fenomeno internazionale delle combine. Addirittura a Napoli e a Bari si punta a svelare i possibili legami con la criminalità organizzata. Interrogatori. A Cremona anche ieri è stato un giorno di interrogatori. Davanti al gip Guido Salvini si è presentato Nicola Santoni, ex preparatore sportivo del Ravenna Calcio. Per lui l’accusa formulata dal procuratore Di Martino è di aver fatto da «tramite stabile tra Doni, col quale comunicava in continuazione, e la restante parte dell’organizzazione in ordine alla manipolazione delle partite dell'Atalanta».A questo proposito Santoni avrebbe parlato delle sue responsabilità nella combine di Atalanta-Piacenza, partita del 19 marzo 2011 vinta dai nerazzurri, raccontando di aver corrotto i giocatori del Piacenza perché perdessero l'incontro ma senza fare cenno a un presunto coinvolgimento della società orobica o dell’amico Doni. Santoni avrebbe anche ammesso di aver incontrato lo stesso giorno del match un altro ex calciatore, e indagato come presunto membro del gruppo degli scommettitori, Gianfranco Parlato. I due si sono visti al casello autostradale di Parma, dove Santoni avrebbe dato a Parlato circa trentamila euro, forse frutto della vincita della «combine».                                                                                 p.c.m.s.

Contatore visite gratuitoAggregatore notizie RSSShare