DE GREGORIO: CORROTTI SENATORI PATTEGGIA E INCASTRA BERLUSCONI
L'ex parlamentare Pdl ha ottenuto un anno e otto mesi: «Sarei stato inseguito tutta la vita come Al Capone»
Che giovedì sarebbe stato per il Cav. l’ennesima giornata
complicata era probabile. Non così fosca, però. Così se quella ricevuta dalla
Cassazione è una doccia fredda il pg conferma, pur riducendolo del 15% il danno
subìto dalla Cir di De Benedetti ai tempi del Lodo Mondadori quella gelata
arriva dal sedicesimo piano della Torre B del palazzo di Giustizia di Napoli.
Qui, dove è in corso la prima udienza del giudizio preliminare sulla
compravendita dei senatori da parte dell’allora Casa delle libertà ai danni del
governo Prodi, l’imputato Sergio De Gregorio cala sul tavolo una carta che mette
parecchio nei guai gli altri due coimputati, Silvio Berlusconi e Valter
Lavitola. L’ex senatore Pdl decide infatti di patteggiare una pena di un anno e
otto mesi per l’accusa di corruzione. Significa che accetta l’accusa per quella
che è, cioè di essersi prestato a un patto corruttivo in cui Berlusconi
chiedeva di comprare senatori per far cadere il governo Prodi nato già zoppo
nel 2006 per colpa del Porcellum. Berlusconi l’aveva chiamata «Operazione
libertà». E il primo guerriero in campo fu proprio l’allora senatore De
Gregorio che, entrato in Parlamento con l’Idv, passò armi e bagagli nel giro di
un paio di mesi tra le file nemiche. Il tutto in cambio di tre milioni di euro
che Berlusconi dette a De Gregorio e alla sua Fondazione Italiani nel mondo. De
Gregorio ha riempito decine di pagine di verbali con i magistrati di Napoli
raccontando i segreti dell’«Operazione Libertà» (su cui sta scrivendo un
libro). La procura aveva chiesto il giudizio immediato. Era l’11 marzo, giorno
in cui poi i parlamentari Pdl decisero di marciare in 130 sul tribunale di
Milano. Il gip aveva respinto la richiesta suggerendo semmai l’imputazione di
finanziamento illecito ai partiti. Si arriva a ieri, all’avvio dell’udienza
preliminare. E alla scelta di De Gregorio che, anche se non formalmente,
inguaia i coimputati Berlusconi e Lavitola. I destini dei tre adesso si
dividono. L’avvocato Carlo Fabbozzo, legale di De Gregorio, ha ottenuto un anno
e otto mesi di pena (sospesa perché sotto i due anni) e chiude il debito
dell’ex senatore nei confronti della giustizia. Ma se il gip ha accettato il
patteggiamento sull’ipotesi di corruzione, significa che intende andare a
processo per la stessa ipotesi di reato nei confronti di Berlusconi e Lavitola.
Il Cavaliere non potrebbe sopportare un nuovo processo per corruzione, e questa
volta con l’odiosa aggravante di aver agito per condizionare la vita politica
del paese. Se Lavitola è comparso in aula con il braccialetto elettronico
perché ancora agli arresti domiciliari dopo quindici mesi di detenzione
preventiva, De Gregorio ha tenuto fuori dall’aula un lungo sermone circa le
radici della sua scelta. Che sono tra il mistico e il politico. «Sarei stato
inseguito tutta la vita come Al Capone...» ha detto riferendosi al fatto che
«il padre defunto gli è apparso in sogno dicendogli di dire tutto quello che
sapeva su Berlusconi». E poi, «avete visto Lavitola che razza di guai sta
passando per conoscere chissà quali segreti...». Sensi di colpa moltiplicati da
una sensibilità tutta napoletana, si sono aggiunti ad un «seppur tardivo senso
di responsabilità nei confronti dei miei elettori. Dovevo ammettere le mie
colpe». Dice di aver chiesto scusa a Romano Prodi («sono stato uno stalker»). E
Silvio Berlusconi, «l’uomo che avevo emulato negli anni», il leader del suo
«primo amore», è stato «una delusione», una persona «sbagliata al servizio
della quale ho messo le mie disponibilità». Da lui, insiste, «sono stato
accolto con affettuosità strumentale». Poi l’affondo: «Sono stato conseguente
alla mia decisione. Racconterò queste vicende in aula come testimone, se ci
sarà un processo. Mi avevano offerto di restare in Senato il 19 dicembre, ma al
coordinatore del Pdl Denis Verdini ho detto no. Non credo alla possibilità di
sfuggire alla giustizia rifugiandosi in Parlamento; non lo credo per me, non lo
credo per altri». Ha scelto di parlare solo dopo la fine del mandato
elettorale, «perché prima mi sarei vergognato. Ho accettato un finanziamento in
nero al mio movimento. Se non lo avessi fatto, non saremmo qui a parlare. Io ho
detto ai pm la verità non cose che non sapevo o questioni che sapevo de relato,
ma solo i fatti di cui sono stato testimone». Un lungo sermone, appunto.
Messaggi diretti a qualcuno? Vedremo. Intanto i legali di Berlusconi hanno
presentato due eccezioni. La prima sulla competenza territoriale che è del
Tribunale di Roma. La seconda riguarda il «non luogo a procedere» in base alla
norma costituzionale sull’insindacabilità del voto dei parlamentari (art. 67
della Costituzione). Il gip Primavera risponderà il 19 luglio, nella prossima
udienza. Sarà una lunga battaglia. Su cui incombe l’incognita Lavitola: l’ex
giornalista deciderà di raccontare tutto quello che sa? Alle cronache sono già
noti i casi di altri due senatori di centrosinistra che rifiutarono di passare
al centro destra dietro offerta di danaro (Pallaro e Caforio, Idv). È un fatto
che Prodi cadde per un pugno di voti. Intanto Codacons e Idv sono stati ammessi
come parti civili del processo. Le nuove pretese del Pdl di riformare la giustizia
e normalizzare i magistrati nascono, ieri, soprattutto da qua.