Indietro tutta. Cala il silenzio. Tacciono i
fiancheggiatori. Dormono i guru. Casaleggio medita, Grillo si rilassa in
spiaggia allentando i muscoli su un tronco morto. Ordina al suo factotum di
vestirsi da Spiderman per depistare la stampa impicciona. Uno vale uno. Il
nemico è in agguato. Siamo in un fumetto della Marvell. Eroe buono. Eroe cattivo.
Smazziamo le figurine come necessaria conseguenza di una presa di
coscienza.Tutti sono immobili. Nessuno si sbilancia. Siamo in attesa di un
responso salvifico. Dal Quirinale. Aspettiamo un post escatologico. Un
comunicato ecumenico. Un «no» finale, definitivo, firmato Cinque Stelle, verso
gli indegni. Siamo tutti corpi opachi, intermedi. Intrusi da cancellare con un
colpo di spunga. In attesa della presa finale. Di quel 100 per 100 che non
ammette deroghe. Fino alla vittoria del pensiero unico, del cittadino ideale
che fa jogging sul lungomare. Meditando sul futuro del pianeta. Noi aspettiamo,
fiduciosi, la rivoluzione. Siamo con la retromarcia ingranata, carica di
promesse a venire. Crediamo ormai nel tempo a ritroso. Pronti per andare a
rinculo nel Novecento profondo. Verso un passato remoto di radio, di tv
commerciali, di piazze transustanziate da un salvifico vaffanculo mediatico. Un
assolo trombone, maschile. Retrattile,furbacchione, impostore.Per ora contiamo
l’elenco dei no. Annotiamo le scomuniche. I passi falsi. Gli scivoloni. Non ci
salveremo l’anima, no. Ma potremo sempre rispondere punto per punto. Come un
editoriale sgobbone e acido, di Marco Travaglio.In queste ore solo Adriano
Celentano, l’ eroe scamuffo nazionale, rompe maldestramente la crisalide del
silenzio, goffo e pasticcione come al solito. Il molleggiato, qualunquista, in
basco di lustrini, scrive a Grillo una lettera confusa, spietata come la
verità: Beppe tu non sei umile, non batti il tempo pacifico di Papa Francesco.
Non sei dentro il senso di questo tempo pacifico e dimesso. Il tempo ora dice:
dialogo. Confronto. Mediazione.La voce di Adriano si leva come un’interferenza
maldestra nel vocìo confuso della corrente impaludata dei commentatori di
carriera. Un messaggio in bottiglia, sigillato alla meno peggio, tra anonimi
pasticcioni e opionionisti molesti. Tra troll, fake, fiancheggiatori, fanatici
e millantatori di rivoluzioni digitali, il messaggio di Adriano sembra quasi
vero: Grillo rischia di essere divorato dal narcisismo. Deve trovare una via di
fuga fuori da sé. Ma non c’è modo per redimerlo. Beppe è un invasato. Non legge
i commenti del blog. Li emenda e basta. Non riceve le lettere da Venezia.
Considera infiltrati quanti gli hanno dato il voto, con riserva. I più giovani,
che smanettano seriamente sul web, dicono che non c’è democrazia. Non c’è liquid feed back. Le
decisioni più importanti sono appannaggio degli Eletti, senza ritorno nella
rete. Uno non vale più uno. La rete mobilita ma non governa. Il feticcio sta
per mostrarsi mostro. Un sessantenne goffo usa la rete a suo piacimento. Si
intesta rivoluzioni generazionali che nessuno gli riconosce. I più sgamati, i
nerd, hanno già capito il trucco. Lunedì il capo raduna i suoi per fare il
punto. Come è giusto che sia. Lo streaming è già una barzelletta. Buona solo
per mettere in scena il vecchio che c’è, nel nuovo da corteggiare per restare a
galla. Un copione tetro. Triste. Perfino Bersani sembra autentico. Vero e
ditignoso come Vasco Rossi. A quanto pare l’Italia deve vivere, ancora. I
pentastelluti sono anime sconosciuti. Alcuni cominciano a sbadigliare. A
reclamare la loro parte nel reality della politica. Non avremmo mai pensato di
trovare simpatico Vittorio Sgarbi, con i suoi Tiziano, con la sua religione
pazza della bellezza. Con un Riccardo Muti presidente. Ma almeno così nessuno
si sente in colpa. Ed è ancora più chiaro a che solo noi, tutti, possiamo
salvarci. A partire da noi.
m.r.c.p.d.s.