STUPRI, CONSULTA CHOC: «CARCERE NON OBBLIGATORIO»
La Corte Costituzionale boccia in parte le nuove norme, più restrittive, varate con decreto nel 2009, in materia di misure cautelari per chi è indagato per violenza sessuale, atti sessuali con minori e induzione o sfruttamento della prostituzione minorile. Per i giudici delle leggi, infatti, il decreto n.11/2009 (convertito in legge nell'aprile dello stesso anno) viola i principi costituzionali nella parte in cui prevede che, quando sussistano gravi indizi di colpevolezza per i suddetti reati, debba essere applicata la custodia cautelare in carcere, escludendo così la possibilità del giudice di optare per un altro tipo di misura cautelare anche quando questo sia opportuno alla luce di «specifici elementi acquisiti». A sollevare il caso di fronte alla Consulta erano stati, con diverse ordinanze, i gip di Belluno e Venezia, nonchè il tribunale del Riesame di Torino. Con la sentenza n. 265 (relatore Giuseppe Frigo) depositata oggi, la Corte ha ricordato che il «tratto saliente» del regime inerente le custodie cautelari «conforme al quadro costituzionale» è quello di «non prevedere automatismi nè presunzioni», ma si esige piuttosto che «le condizioni e i presupposti per l’applicazione di una misura cautelare restrittiva della libertà personale siano apprezzati e motivati dal giudice sulla base della situazione concreta». Dunque, «per quanto odiosi e riprovevoli - si legge ancora nella sentenza - i fatti che integrano i delitti in questione ben possono essere e in effetti spesso sono meramente individuali, e tali, per le loro connotazioni, da non postulare esigenze cautelari affrontabili solo e rigidamente con la massima misura». La norma impugnata, quindi, viola l'articolo 3 della Costituzione «per l'ingiustificata parificazione dei procedimenti relativi ai delitti in questione a quelli concernenti i delitti di mafia, nonchè per l'irrazionale assoggettamento ad un medesimo regime cautelare delle diverse ipotesi concrete riconducibili ai paradigmi punitivi considerati», l'articolo 13, primo comma, «quale referente fondamentale del regime ordinario delle misure cautelari privative della libertà personale», e l'articolo 27, secondo comma, «in quanto attribuisce alla coercizione processuale tratti funzionali tipici della pena».