domenica 16 maggio 2010

DANDINI: «DISERBANO LA RAI, MA NON MOLLIAMO SAREMO IN PRIMA SERATA»

Dice che quando l’ha chiamata il New York Times per chiedere ma che è successo, che ha fatto? non sapeva cosa rispondere. «E che gli dicevo: mr president, you know, Ascanio Celestini...», ma come si fa a spiegare? Non si può. Dice che vedere come «diserbano i talenti, la creatività» le fa venire male di stomaco. Qui si interrompe per parlare di piante, «la mia passione, mi piace innaffiare, veder crescere, aspettare la prossima stagione, non è che una pianta con una foglia gialla si butta, ci vuole tempo». Dice che ama la Rai, la adora. «Ci sono cresciuta, so dove sono i bauli coi vestiti delle Kessler, dove sono quelli di Mina a Studio Uno». La Rai è un’azienda pubblica, non di governo, «pubblica che è diverso: un fraintendimento lessicale, forse». Dice che vabbè, Berlusconi si irrita, pazienza. «Figuriamoci, alla mia età, se mi spavento». Non lascia, dall’anno prossimo raddoppia. In seconda serata e anche in prima. «Il direttore ha confermato la programmazione di Parla con me da fine settembre. Poi ci ha chiesto anche di provare la prima serata su Rai tre, un esperimento. Gli potevo dire di no?». Parlare per strada con Serena Dandini, persino in un giorno di pioggia torrenziale, è uno spettacolo. Si fermano come pellegrini. Il postino, la ragazza, l’anziana coppia. Una signora in età: «Ma perché le cose interessanti le date la notte?». Signora ci sarà una ragione. «Sì, ma poi di giorno tutte ’ste cosce, poi dice che gli uomini si buttano dall’altra parte, e basta co’ ’ste cosce». Lei ride spegne la sigaretta a metà: «Adoro le donne. Le adoro». Dandini, diceva che diserbano. Parliamo un po’ di censura.«È anche peggio della censura. È autocensura, ormai. Guardi io parlo con serenità, l’età è quella che è, sono entrata in Rai negli anni Settanta alla radio, ho visto non so più quanti direttori generali e presidenti, ho cominciato a fare satira con la Dc, ho lavorato in tutte le sedi, a Torino, a Napoli, a Saxa Rubra quando l’avevano appena svuotata sembrava il deserto dei tartari. Conosco la materia, diciamo. Ecco: mi dispiace vedere pezzi di azienda che si staccano come il Colosseo. Prima c’era qualcuno che si occupava dei programmi e qualcun altro che occupava le postazioni politiche, è sempre stato così. Ora però entrano direttamente in scaletta. C’è un controllo capillare, i capostruttura e i funzionari sono più realisti del re. Sfuma, taglia, smorza che non si sa mai. Cresce l’autocensura. Il clima è questo. Una volta ai provini c’era buona satira, ora ti propongono quello che funziona , sempre qualcosa che somiglia a qualcos’altro, vanno sul sicuro. La creatività si impantana per omologazione. Se il mercato propone una macchina monoposto tutti a far macchine monoposto. Il diserbante è nell’aria. Lo respiri poco a poco, nemmeno te ne accorgi. Un virus silenzioso. Cresce una generazione senza potenziale. Questa la tragedia: chi viene dopo».Vent’anni fa era diverso? «Ma certo! Oggi i vecchi pezzi di Avanzi non potrebbero più andare in onda. Non sono cambiata io, me lo dico sempre: è cambiato il mondo fuori. Faccio questo esercizio ogni giorno: mi chiedo ma dieci, vent’anni fa lo avrei fatto? E allora lo faccio. Su Avanzi mandavamo Prodi che non s’era accorto di essere morto da 40 anni. D’Alema di Sabina Guzzanti con la sua scacchiera di strategie, Mentana al Tg5 di Corrado, altro che Minzolini». Protesta, Minzolini? «Peggio. Arrivano voci, sempre voci. Dice che si sia innervosito, pare che. Allora preferisco Berlusconi in Consiglio dei ministri, diritto per diritto. Quando si è lamentato dell’intervista a Scalfari, nell’intercettazione con quello che è il garante. Il garante di che?» Dell’autonomia. «Ecco appunto: l’autonomia. Comunque Scalfari l’ho rimandato in onda. Così magari si capiva meglio il problema. La seconda volta, questa, ancora non so se non gli sia piaciuto Celestini o Zagrebelsky. È diverso, no? Belli tutti e due, però, devo dire. Scalfaro, Rodotà, Zagrebelsky coi ragazzi in studio che fanno il tifo: questa cosa dei giovani che applaudono i vecchi è importante. Adesso torna, Scalfari: tra pochi giorni». Dice il premier che è tutta gente di sinistra, che chi paga il canone deve avere in cambio una tv equilibrata. «Amo i pagatori di canone. Ormai mi mandano le mail e si firmano cosi: pagatore di canone. Questo sistema mentale binario - destra e sinistra - applicato a qualunque cosa è cretino e certe volte persino offensivo. Comunque: se mi danno un manualetto di istruzioni precise io procedo. Mi dicano: Fini al momento è di destra o di sinistra? E Rutelli? Ecco, sono pronta. Poi: “tv pubblica”, cosa vuol dire lo sanno? No perché non vuol dire di governo . Pubblica è quella che rappresenta la varietà di gusti e di stili presenti nel paese, spirito critico compreso. Chi decide cosa va bene per il pubblico? Il pubblico stesso, cioè lo dicono gli ascolti, il mercato - il famoso libero mercato - o la politica? In questo caso la politica in leggerissimo conflitto di interessi, oltretutto. Deve essere la concorrenza a dire cosa mandare in onda in Rai? Loro poi a Mediaset il loro lavoro sanno farlo benissimo. Zelig è partito in seconda serata su Italia uno è finito in prima su Canale 5. Il mercato, no?. E’ alla Rai che distruggono tutto, tanto non è mica roba loro». E la par condicio? «Ecco, la par condicio diserba i cervelli. Non è che se uno dice bianco subito dopo ci devi mettere quello che dice nero. È nel complesso, nell’insieme dei programmi che ci deve essere equilibrio di voci e posizioni. Stare col misurino dentro lo stesso programma è una roba da contabili, il pubblico non capisce più niente: diventa vero tutto e il contrario, si confonde in una melma che poi è quello che vogliono. Confondere, dire vedete è tutto uguale. Fast food predigerito». Come fast food? «La politica si è divorata la Rai. Se l’è mangiata in piedi senza nemmeno masticare. Non c’è più un progetto che sia uno. Tutto e subito, è lo spirito del tempo. Le professioni, i mestieri: i truccatori, i fonici, i tecnici delle luci, si perde tutto. Contratti a progetto, un programma e poi si smantella, nessuna visione di prospettiva, nessuna cura dei talenti. Ma la Rai è un’azienda culturale! E anche fosse anche un’azienda di pomodori: non si può lavorare così. Ci sono provini che non sappiamo come e quando avvengono. La gente arriva catapultata, come arriva sparisce. Potrebbe essere una scuola dove si imparano i lavori: se penso alle centinaia di autori che sono passati dalla Tv delle ragazze, Pippo Chennedy, Avanzi, I Bronkoviz, Crozza, Cortellesi, tutti i Guzzanti, Lella Costa, Angela Finocchiaro, Iaia Forte, Maria Amelia Monti, dietro le quinte una comunità di persone bravissime. Con gli spezzoni di quella Rai ci si fanno ancora i programmi. A me piace fare bottega, questo so fare, provare le persone farle camminare piano piano crescere. Perché la Rai non crea il suo vivaio, non allestisce una scuola? Perché le ragazze possono entrare solo se diventano veline? Va benissimo, adoro le veline, ma poi ci sono le comiche, le registe, le microfoniste, le violoncelliste, le trovarobe. I mestieri, mi spiego? Io, per esempio, se smetto mi metto a produrre cortometraggi. Coi ragazzi, ce ne sono di bravissimi».Smette? «Macché. Finora i direttori di rete ci hanno lasciati liberi e ci hanno protetti da seccature, nessuno ci ha mai chiesto di smettere. Anzi. Di Bella ha appena confermato il programma per la prossima stagione e ci ha chiesto di provare anche qualche prima serata. Del resto un tempo con Freccero su Raidue si faceva. Son contenta di tornare in prima serata. La tv è potente: si possono promuovere scrittori, musicisti, ragazzi che passano in video e poi trovano mercato per le loro cose. Cultura, ce n’è tanto bisogno. Non di tagli, di investimenti c’è bisogno. Di tutti i generi per carità, ma tutti».Berlusconi non sarà contento della notizia «Dice? Mah, non capisco. Di solito con l’età si acquista in saggezza. Io per esempio sono diventata tranquillissima. Nell’attesa di cambiare il paese cominciamo dal terrazzo di casa. Per questo mi occupo di gerani. L’importanza delle fragole, per dire. Vogliamo parlare di fragole?»

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