venerdì 27 novembre 2009

L’ALLARME DI NAPOLITANO «FERMARE LE TENSIONI E LO SCONTRO TRA ISTITUZIONI»


E’ nel salotto di rappresentanza, a pochi metri dal salone dove ha appena parlato del dramma dei morti sul lavoro, che il presidente della Repubblica ha voluto leggere il messaggio vergato con attenzione, parola pesata dopo parola, per rendere pubblica la preoccupata presa d’atto dell’acuirsi dello scontro tra la politica, con il presidente del Consiglio che grida contro «le toghe che vogliono far cadere il governo» e la magistratura, con alcuni consiglieri del Csm che richiedono l'acquisizione delle parole del premier nell'ambito della pratica a tutela dei magistrati e la polemica sempre aperta sulla valutazione opposta del disegno di legge sul processo breve.Il messaggio, sedici righe pesate dunque parola per parola, è stato letto ad un Paese «che deve affrontare complessi problemi di ordine economico e sociale» e che si trova invece ad assistere ad uno scontro entrato ormai in una perversa spirale. E a questa situazione che è rivolto l’altolà di Giorgio Napolitano letto con voce grave, quasi accorata, a sottolineare la preoccupazione del presidente davanti ad una contrapposizione che non può sortire che effetti disastrosi se portata molto oltre.Parla nell’interesse della collettività il presidente che la rappresenta tutta. E le sue parole, pur nell’inevitabile meccanismo interpretativo di preferirne alcune ad altre, a seconda della parte che si rappresenta, sono state accolte con un apprezzamento quasi totale. Anche i vertici dell’associazione nazionale magistrati hanno salutato con favore le parole del Capo dello Stato pur ribadendo di non avere alcuna intenzione di rinunciare a dire la loro a cominciare dalla legge in discussione. «Penso che il presidente dica e faccia un'affermazione nella quale quantomai ogni magistrato si debba riconoscere» ha detto il presidente dell’Anm, Luca Palamara sottolineando che «noi magistrati non siamo in guerra con nessuno, ma chiediamo di non essere aggrediti» e assicurando che «la magistratura deve e vuole continuare a fare ciò che la Costituzione le impone». Le parole rivolte a Berlusconi che grida in continuazione contro presunti attacchi al suo governo, sono chiarissime. «Va ribadito che nulla può abbattere un governo che abbia la fiducia della maggioranza del Parlamento» sempre che riesca a garantirsi «la coesione della coalizione che ha ottenuto dai cittadini-elettori il consenso necessario per governare». Il Cavaliere può stare tranquillo. Sempre che riesca a mantenere la tranquillità in una coalizione che non sembra proprio averla. Allo stesso tempo «quanti appartengono alla istituzione preposta all’esercizio della giurisdizione si attengano rigorosamente allo svolgimento di tale funzione». Questa appare una condizione indispensabile più che mai in una situazione di acuta tensione. E «tutte le parti debbono fare uno sforzo di autocontrollo di autocontrollo nelle dichiarazioni pubbliche». Nell’interesse del Paese bisogna fermare «la spirale di una crescente drammatizzazione, cui si sta assistendo, delle polemiche e delle tensioni non solo tra opposte parti politiche ma tra istituzioni investitedi distinte responsabilità costituzionali». I politici, appunto, specialmente quelli troppo coinvolti come il presidente del Consiglio ed i magistrati. L’appello a fermarsi a riflettere non poteva che rimettere al centro il ruolo del Parlamento troppo spesso dimenticato. Ricorda il presidente «spetta» proprio «al Parlamento esaminare, in un clima più costruttivo, misure di riforma volte a definire corretti equilibri tra politica e giustizia».
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